Frotte di robot per le barriere coralline

Capita spesso, guardando la natura, di volerla imitare: i suoi colori, le sue forme, la sua precisissima organizzazione sono dei veri e propri modelli. Non solo nella vita quotidiana, ma anche per la ricerca che aiuta l’ambiente.

Abbiamo visto orecchini a forma di bellissime foglie, colori
di tessuti che ci ricordavano quello splendido fiore, abbiamo avuto
voglia di fare come le operose formiche – ma anche di oziare come
le cicale, diciamolo. A imitare i meccanismi della natura sono
anche gli studiosi.

Il team di ricercatori dell’Università scozzese Heriot-Watt
sta sviluppando dei robot che riparano le barriere coralline,
danneggiate dalla pesca intensiva con reti a strascico, che hanno
raschiato i fondi marini provocando danni gravissimi
all’ecosistema. Gli studiosi si sono ispirati alla “biomimetica”,
la disciplina in cui la natura diventa modello, misura e guida
della progettazione: come gli sciami di api, vespe e termiti
lavorano insieme per costruire strutture complesse, i robot
chiamati “coralbot” lavoreranno insieme per riparare le parti
danneggiate, permettendo ai coralli di continuare a crescere.

I coralbot inizieranno a curare i coralli che si trovano nelle
acque profonde al largo della costa scozzese, simili a quelli che
si trovano nelle zone tropicali e poi potrebbero essere usati in
tutto il mondo. Attualmente il processo di ricrescita è
seguito da subacquei volontari, ma i robot saranno più
efficienti, perché potranno scendere senza rischi a
profondità maggiori e agiranno più velocemente.

Una bella speranza per le barriere coralline, le “foreste pluviali
del mare”, habitat di almeno un quarto di tutte le specie marine
note, fortemente minacciate non solo dalla pesca a strascico, ma
anche dall’aumento delle temperature e dalla progressiva
acidificazione dei mari.

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