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Quel rapporto tra medico e paziente nell’ultimo viaggio della vita

Da vent’anni mi occupo di assistere pazienti nella fase avanzata della malattia e nella fase finale della vita. Le cure palliative sono, infatti, l’ambito della medicina che si prende cura dei pazienti cosiddetti inguaribili per i quali – non essendoci più spazio per la guarigione – c’è ancora moltissimo da fare in termini di cura.

Da vent’anni mi occupo di assistere pazienti nella fase avanzata della malattia e nella fase finale della vita. Le cure palliative sono, infatti, l’ambito della medicina che si prende cura dei pazienti cosiddetti inguaribili per i quali – non essendoci più spazio per la guarigione – c’è ancora moltissimo da fare in termini di cura. Così, la medicina palliativa parte dal presupposto di aver rinunciato al potere di guarigione della moderna medicina. Gran parte della storia della medicina è fatta da uomini che poco potevano rispetto all’evoluzione naturale della malattia: è nell’ultimo secolo che la scoperta di farmaci e lo sviluppo delle tecnologie ha condotto la medicina a rimuovere la morte dal suo orizzonte, confondendo la cura del malato con quella della malattia e allontanando anche dallo sguardo di un certo tipo di medicina il fallimento del malato che muore.

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Per i pazienti terminali non c’è più spazio per la guarigione, ma c’è ancora moltissimo da fare in termini di cura

Il medico sullo stesso piano del paziente

La medicina palliativa ridimensiona molto il ruolo del medico riducendo l’asimmetria – talvolta pericolosa – che si crea nella relazione di cura e riporta il medico sullo stesso piano del paziente: entrambi si confrontano con l’esperienza misteriosa della morte. Parlo di medico estendendo il concetto alle altre figure sanitarie che necessariamente sono coinvolte perché l’assistenza al morente è lavoro d’equipe per antonomasia.

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Il medico mette a disposizione del paziente le proprie competenze umane di fronte al mistero della fine della vita

Il medico mette in tal modo a disposizione le proprie competenze tecniche ma soprattutto umane nella consapevolezza di trovarsi di fronte al mistero – indipendentemente dallo sguardo laico o religioso – che la fine della vita rappresenta: si sfila il camice e torna ad essere un uomo o una donna che ha il privilegio di accompagnare un altro uomo o un’altra donna in un tratto unico e irripetibile della sua esistenza.

Ognuno dovrebbe prepararsi al viaggio dalla vita a modo suo

Se è vero che ciascuno di noi sceglie di prepararsi i bagagli in modi e tempi diversi quando deve partire per un viaggio (e qualcuno preferisce che siano altri a prepararglieli), così mi piace pensare che al viaggio per eccellenza che è la morte, ciascuno debba e possa prepararsi a modo suo. Per questa ragione non esistono trattamenti standard alla fine della vita: morire non è una malattia, ma un evento esistenziale e la morte fa parte del percorso dell’individuo unico e irripetibile, in qualsiasi momento della storia dei singoli abbia luogo. La storia e l’unicità dell’individuo dovrebbero trovare spazio alla fine della vita.

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