La metà degli abiti venduti online è realizzata con plastica vergine

Secondo uno studio, su 10mila vestiti analizzati in due settimane, il 49 per cento risulta realizzato interamente con plastica vergine.

Nonostante l’intenzione di ridurre l’enorme impatto ambientale della fashion industry, circa la metà degli abiti venduti da grandi marchi di moda online, come Boohoo e Asos, sono realizzati interamente con plastica vergine, cioè quella prodotta utilizzando materie prime e non materie prime riciclate. A rivelarlo è uno studio della Royal society for arts, manufactures and commerce (Rsa), che ha preso in analisi circa 10mila capi trovati su siti come Asos, Boohoo, Missguided e PrettyLittleThing, nell’arco di due settimane di maggio.

Online
Lo shopping si fa sempre più spesso online © Pickawood/Unsplash

Cosa dice lo studio sugli abiti realizzati con plastica vergine

Di questi 10mila articoli analizzati nell’arco di due settimane, è stato rilevato che una media del 49 per cento era realizzata interamente con nuove plastiche come poliestere, acrilico e nylon. In alcuni casi solo l’1 per cento degli abiti conteneva tessuto riciclato. Non stupisce l’uso massiccio di fibre sintetiche prodotte con combustibili fossili, se si considera il boom che la moda veloce ha avuto negli ultimi 20 anni. È un circolo vizioso: dopo l’esplosione della fast fashion, l’utilizzo di questi materiali più economici è pressoché raddoppiato, consentendo alla moda usa e getta di continuare a proliferare.

Ciò che però non molti sanno, secondo Josie Warden, tra gli autori del rapporto, è che questi tessuti necessitano di grandi quantità di energia in fase di produzione e alimentano il settore petrolchimico, responsabile di buona parte dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento incontrollato. E quel che è peggio, è che c’è scarsa consapevolezza su come alcuni tipi di materiali vengano realizzati, soprattutto tra i giovani acquirenti.

È noto che l’industria della moda sia tra i settori più inquinanti al mondo, non solo per quanto riguarda la (sovrap)produzione di vestiti, ma anche e soprattutto per il loro smaltimento: nel Regno Unito 300mila tonnellate di abiti vengono bruciate o seppellite ogni anno. Un problema di cui sono in parte responsabili anche brand come PrettyLittleThing e Missguided, che adottano strategie che incoraggiano il consumo non sostenibile, con espedienti come abiti a 8 pence e costumi da bagno a 1 sterlina.

Plastica vergine
Uno studio spiega che molti abiti acquistati online sono fatti utilizzando plastica vergine © Bench accounting/Unsplash

I provvedimenti presi dai brand

“Non possiamo più utilizzare la plastica per creare capi di scarsa fattura, pensati per essere indossati solo una manciata di volte. Questi hanno bisogno di grandi quantità di energia, creano danni ambientali durante il loro processo di produzione e possono impiegare migliaia di anni per essere smaltiti”, ha affermato Warden. Ma anche tanti materiali naturali, come cotone e viscosa, hanno un notevole impatto ambientale, “quindi in definitiva è la scala di produzione che deve cambiare”. I brand hanno cominciato a prendere provvedimenti: dopo le rivelazioni di salari e condizioni di lavoro scadenti in alcune fabbriche dei suoi fornitori, Boohoo, che possiede PrettyLittleThing, ha avviato una revisione completa della sua catena di approvvigionamento e ha promesso che entro il 2025 i tessuti dei suoi abiti (realizzati all’80 per cento in cotone o poliestere) saranno riciclati o comunque più sostenibili.

Un portavoce di Missguided ha poi affermato che il marchio ha ridotto drasticamente l’uso di plastica vergine, ma ha convenuto che “c’è altro da fare”. L’obiettivo per il momento è rendere più sostenibili i prodotti, con un 10 per cento che utilizzerà fibre riciclate entro la fine del 2021 e un 25 per cento entro la fine del 2022. Asos ha incentivato l’uso di più materiali sintetici riciclati e cotone sostenibile e ha introdotto un “Responsible edit”, per guidare i clienti verso l’acquisto di abiti realizzati con materiali sostenibili. La Rsa infine chiede una “tassa sulla plastica” per ogni articolo realizzato con plastica vergine importato o prodotto in Gran Bretagna e, rivolgendosi ai consumatori, li invita ad acquistare meno e meglio.

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