Dall’Africa all’Amazzonia, con un bianco e nero più vivo di ogni colore ha raccontato bellezze e fragilità del mondo. E dell’uomo che ci si muove dentro.
È stato il fotografo dell’ambiente, ma nei suoi panorami c’era sempre, ben messa a fuoco, una precisa coscienza della Terra, una precisa tematica sociale da denunciare. Adesso Sebastião Salgado non c’è più: il grande fotografo brasiliano si è spento ieri all’età di 81 anni. Economista di formazione, poi fotografo per vocazione, Salgado stato è uno di quegli artisti che non si limita a raccontare la realtà: la attraversa, la abita, la restituisce con un’intensità epica e insieme intima. Aveva scoperto la fotografia quasi per caso, durante una missione di lavoro per l’Organizzazione Mondiale del Caffè: da quel momento la macchina fotografica è diventata il suo linguaggio.
Il racconto dei processi storici
Fin dagli anni ’70 si fa interprete del legame profondo tra i grandi processi storici – guerre, migrazioni, globalizzazione – e le vite concrete delle persone. È così che nasce La mano dell’uomo: un progetto monumentale durato sei anni, in 26 paesi, per raccontare la fine del lavoro manuale e celebrare la dignità dei lavoratori del mondo. Dalle miniere brasiliane ai cantieri navali, Salgado immortala la fatica e l’orgoglio, senza mai cedere al pietismo. Ma è l’Africa, scoperta negli anni dei primi viaggi, a rimanere sempre al centro del suo obiettivo: la siccità del Sahel, le conseguenze del colonialismo, il volto umano della povertà finiscono in diversi lavori sotto la sua lente, sempre con rispetto, con empatia e con lo sguardo di chi vuole capire prima di raccontare.
Dopo il trauma del genocidio in Ruanda negli anni ’90, però, Salgado torna nella tenuta di famiglia in Brasile, e si dedica all’ambiente vero e proprio, attraverso un gigantesco progetto di riforestazione curato insieme sua moglie Lelia. Contemporaneamente nasce Genesis, un viaggio nei luoghi incontaminati del pianeta, per ricordare che la natura – e con essa l’umanità, che ne fa parte integrante – va salvaguardata: anche il regista Wim Wenders racconterà questa concezione nel toccante documentario Il sale della Terra.
Salgado raccontava spesso di non cercare lo scatto perfetto, ma quello necessario, utilizzando il bianco e nero per cogliere l’essenziale anche quando di tratta di raccontare i colori abbaglianti dell’Amazzonia, come in una delle sue grandi mostre (a Roma, nel 2021-22), o i riflessi dell’acqua in Aqua Mater (a Genova, nel 2024): la foresta e l’acqua, non a caso, due dei beni più prezioso che l’uomo ha l’obbligo di preservare.
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