
Camminare tra le montagne più belle del mondo e scoprire passo passo opere di land art che dialogano e impreziosiscono il territorio. In val Badia, è Smach.
Con la mostra Amazônia, dopo 7 anni nella foresta amazzonica Salgado ci restituisce la meraviglia (in pericolo) nel polmone del mondo. Alla Fabbrica del vapore a Milano.
Per 7 anni Sebastião Salgado ha girato l’Amazzonia — il vasto territorio della foresta brasiliana che occupa un terzo del continente sudamericano, un’area più estesa dell’intera Unione Europea — e ha vissuto a stretto contatto con chi in queste terre dimora da sempre. Per raccontare ciò che ha visto e di cui ha fatto esperienza ha utilizzato la sua arte, la fotografia. A Milano, alla Fabbrica del vapore sino al 19 novembre, 200 scatti ci mostrano la meraviglia regalataci dalla natura e le peculiarità degli indigeni, ma anche un patrimonio ricchissimo e importante per il nostro pianeta che rischiamo di perdere e mettere in pericolo ogni giorno di più perché non abbastanza tutelato e protetto.
Anche in Genesi, già molti anni fa, Sebastião Salgado aveva posto l’accento su ciò che rischiavamo di perdere. Oggi la situazione è drammaticamente peggiorata e forse l’area dell’Amazzonia è il luogo dove questo pericolo appare con più urgenza. A grande bellezza infatti corrisponde un immenso disastro. Amplificato in Brasile dalla situazione politico economica che certo fino a ora non ha messo tra le priorità del paese la salvaguardia dell’ecosistema e in particolare della foresta amazzonica.
Probabilmente il primo sentimento a scaturire vedendo le enormi fotografie di Salgado, che è brasiliano e quindi ha certamente ancor più a cuore la sua terra, sarà di stupore e meraviglia per quanto di bello esiste sulla Terra. Fiumi, vegetazione incredibile, biodiversità oltre che etnie antiche e orgogliose della propria unicità. Tutto reso ancor più mirabile dalla tecnica, ben riconoscibile, del fotografo che da sempre utilizza il bianco e nero ben contrastato per creare drammaticità e un effetto quasi teatrale o cinematografico. Questo però non deve far dimenticare il resto, cioè la poca cura che attualmente abbiamo per il polmone verde del mondo.
Ma cosa e chi ha fotografato a più riprese Salgado in questi anni? Uomo e natura e in particolare le diverse popolazioni indigene immortalate in spazi che ricordano le “ocas”, tipiche abitazioni indigene nei piccoli e isolati insediamenti umani nel cuore della giungla. Qui vivono gli Awá-Guajá, che contano solo 450 membri e sono considerati la tribù più minacciata del pianeta, o gli Yawanawá, che, sul punto di sparire, hanno ripreso il controllo delle proprie terre e la diffusione della loro cultura, prosperando, fino ai Korubo, fra le tribù con meno contatti esterni: proprio la spedizione di Salgado nel 2017 è stata la prima occasione in cui un team di documentaristi e giornalisti ha trascorso del tempo con loro.
Gli scatti di ambientazione paesaggistica, poste a diverse altezze e presentate in diversi formati, sono divisi in sezioni che vanno dalla Panoramica della foresta in cui si presenta al visitatore l’Amazzonia vista dall’alto, a I fiumi volanti, una delle caratteristiche più straordinarie e allo stesso tempo meno conosciute della foresta pluviale, ovvero la grande quantità d’acqua che si innalza verso l’atmosfera. In Tempeste tropicali si racconta la forza devastante delle piogge, mentre Montagne presenta i rilievi montuosi che definiscono la vita del bacino amazzonico. Si prosegue con la sezione La foresta, un tempo definita “Inferno Verde”, oggi da vedere come uno straordinario tesoro della natura, per finire con Isole nel fiume, l’arcipelago che emerge dalle acque del Rio Negro.
Amazônia è stata curata da Lélia Wanick Salgado, compagna di viaggio e di vita di Salgado e non è un’esposizione classica: lo scopo sembra essere quello di far sentire davvero lo spettatore immerso nella foresta amazzonica, forse per risvegliare i suoi sensi e, perché no, la sua coscienza. La visita è infatti accompagnata da una traccia audio composta appositamente per la mostra da Jean-Michel Jarre e ispirata ai suoni autentici della foresta, come il fruscio degli alberi, i versi degli animali, il canto degli uccelli o il fragore dell’acqua che cade a picco dalle montagne.
Per accrescere la propria “esperienza” dell’Amazzonia sono presenti due sale di proiezione dedicate ai due temi differenti in mostra: in una è proiettato il paesaggio boschivo, le cui immagini scorrono accompagnate dal suono del poema sinfonico Erosão, opera del compositore brasiliano Heitor Villa-Lobos (1887-1959); nell’altra sono esposti alcuni ritratti di donne e uomini indigeni con in sottofondo una musica appositamente composta dal musicista brasiliano Rodolfo Stroeter.
Ma non è tutto: all’esterno della sede museale, grazie a un progetto site specific, promosso dal Comune di Milano e curato da Orticola sarà allestita un’area con sedute e led wall, arricchita dalla presenza di piante pioniere provenienti dalle foreste lombarde. In più, attraverso gli schermi Urban vision una selezione degli scatti di Amazônia approderà in città con una vera e propria mostra itinerante e a cielo aperto che invita alla sostenibilità e all’attenzione verso l’altro.
Molte mostre in una sola alla Fabbrica del vapore sino al 19 novembre 2023. Il biglietto costa 16 euro.
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