Per l’Ocse l’Italia sconta ancora ritardi sul fronte dell’alfabetizzazione e delle competenze digitali. A monte, la precarietà di vita degli insegnanti.
- Secondo il rapporto Education at Glance 2025 dell’Ocse, l’Italia sconta ancora ritardi di alfabetizzazione e digitali.
- Una persona su tre non è in grado di comprendere testi elaborati e abbastanza lunghi.
- Le donne si laureano più degli uomini ma l’accesso al mercato del lavoro resta un tabù.
L’Italia continua a produrre eccellenze accademiche, ma lascia indietro troppe persone. Tra analfabetismo digitale, basso numero di laureati (soprattutto uomini) e una condizione sempre più precaria degli insegnanti, i nodi strutturali da risolvere sono molti. Ad evidenziali è il nuovo rapporto Education at a Glance 2025 dell’Ocse, che conferma le fragilità strutturali dell’Italia in materia di istruzione e competenze. Fragilità che, se non affrontate, rischiano di trasformarsi in un freno per la crescita e l’innovazione, aggravando le disuguaglianze sociali e territoriali. La più grave è che un italiano su tre comprende solo testi molto brevi, con informazioni minime, che non distraggano l’attenzione: un livello di alfabetizzazione basso, che nel resto dei paesi Ocse riguarda solo una persona su quattro.
Analfabetismo digitale e alfabetizzazione fragile
Nel pieno della transizione tecnologica, l’Italia resta indietro anche sul digitale. E non solo a scuola. Secondo il rapporto, il 35 per cento degli adulti italiani ha competenze digitali molto basse, incapace di andare oltre operazioni elementari con computer e internet. In termini di problem solving adattivo, solo il 28 per cento raggiunge il livello 3 o superiore, contro una media Ocse del 44 per cento (la divisione in fasce di competenza è dell’Ocse stesso). L’analfabetismo insomma è anche digitale, e questo deficit pesa sul mercato del lavoro e sulla partecipazione civica, accentuando il divario ad esempio con i Paesi nordeuropei, dove oltre il 60 per cento della popolazione adulta mostra competenze digitali avanzate.
Analfabetismo a parte, la situazione non è migliore se parliamo di percorsi scolastici e universitari veri e propri. L’Italia è penultima nell’Ocse per quota di laureati tra i 25-34enni: appena 37 per cento contro una media del 47. Il divario di genere è marcato, e attenzione, a vantaggio del genere femminile (41 per cento delle donne è laureata, contro il 32 per cento degli uomini): un dato che però si ribalta nel mondo del lavoro, dove i tassi di occupazione e i salari femminili restano inferiori. Particolarmente critico il fronte delle discipline scientifiche: solo il 22 percento dei laureati italiani ha un titolo in materie cosiddette Stem (science, technology, engineering and mathematics), con una quota femminile ancora marginale (meno di un terzo). La carenza di competenze tecnico-scientifiche è particolarmente drammatica perché rischia di frenare la transizione digitale e verde, aumentando la dipendenza dall’estero per professionalità ad alta qualificazione.
Precariato e bassi stipendi per gli insegnanti
E poi c’è l’altra faccia della luna: la scuola italiana infatti poggia su un corpo docente fragile. Oltre un quinto degli insegnanti lavora con contratti temporanei e le retribuzioni restano lontane dagli standard internazionali. Lo stipendio medio di un docente italiano dopo 15 anni di carriera è di circa 33mila euro lordi annui, a fronte dei 45mila della media Ocse. In termini relativi, un insegnante guadagna appena il 77 per cento di quanto percepisce un lavoratore con pari titolo universitario, contro un rapporto superiore al 90 per cento in Francia o Germania. Il divario si accentua rispetto ai dirigenti scolastici, che arrivano a guadagnare quasi tre volte di più dei docenti.
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