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Secondo un nuovo rapporto del Wwf l’espansione infrastrutturale del continente rischia di distruggere gli ultimi habitat delle tigri.
Dopo essere state cacciate senza tregua per decenni le popolazioni di tigre (Panthera tigris) sono tornate, timidamente, a crescere. Merito di efficaci progetti di conservazione come il Tx2, progetto lanciato nel 2010 dal Wwf con l’obiettivo di raddoppiare il numero delle tigri selvatiche entro il 2022 attraverso l’investimento di cinquanta milioni di dollari in strategie di protezione. Gli sforzi per salvare questo incredibile felino rischiano però di essere vanificati dall’incontrollato sviluppo infrastrutturale in corso in Asia.
È quanto emerge dal rapporto intitolato The road ahead, realizzato dal Wwf con la collaborazione della società di consulenza Dalberg Global Development Advisors. Secondo lo studio il grande incremento di progetti di nuove infrastrutture minaccia la sopravvivenza delle tigri, saranno infatti costruiti in tutto il continente, entro il 2020, circa 11mila chilometri di strade, ferrovie, canali, oleodotti, gasdotti e linee elettriche. Questa espansione danneggerà irrimediabilmente l’habitat delle tigri, aumentandone la frammentazione e inasprendo il conflitto con le comunità locali, e di conseguenza il bracconaggio.
“Il progetto globale Tx2 ha offerto alle tigri una reale possibilità di sopravvivenza, ma i piani infrastrutturali in Asia potrebbero distruggere tutte le recenti conquiste e le speranze per il futuro della specie – ha commentato Mike Baltzer, a capo dell’iniziativa Tx2 del Wwf. – Le infrastrutture sono fondamentali per lo sviluppo dell’Asia, ma abbiamo bisogno di assicurarci che questa crescita sia sostenibile”.
Attualmente sopravvivrebbero in natura circa (solo) 3.890 tigri, contro le 100mila che esistevano meno di un secolo fa, alcune popolazioni sono in lieve ripresa, in particolare in India, Russia, Nepal e Bhutan, mentre quelle del Sudest asiatico continuano a diminuire. Questi grandi felini necessitano di ampi territori di caccia, i maschi possono “occupare” fino a settanta chilometri quadrati di foresta quando c’è abbondanza di prede, mentre se queste ultime scarseggiano, come in Russia, hanno territori ampi fino a mille chilometri quadrati. La costruzione di strade e ferrovie frammenta l’habitat delle tigri in porzioni troppo piccole per essere abitate da un vasto numero di esemplari.
Tali infrastrutture possono inoltre facilitare l’accesso degli esseri ad ambienti precedentemente inaccessibili, gli ultimi rifugi delle tigri, aumentando il conflitto tra uomini e animali e il rischio di collisioni con veicoli. Secondo il rapporto, ad esempio, un progetto prevede la realizzazione di due autostrade a quattro corsie, ferrovie, linee di trasmissione, oleodotti e gasdotti che attraverserebbero il Dawna Tenasserim Landscape, area al confine tra Thailandia e Myanmar costituita da oltre 60mila chilometri quadrati di foreste che ospita oltre 250 tigri. Anche il Terai Arc Landscape, al confine tra Nepal e India, territorio con una delle più alte densità di tigri, è minacciato da progetti stradali e ferroviari su larga scala. I lavori per un’autostrada di 650 chilometri sono già iniziati mentre sono previsti altri 5mila chilometri di strade e ferrovie.
Le politiche di conservazione della tigre devono dunque considerare anche la crescente minaccia rappresentata dallo sviluppo delle infrastrutture. “I paesi coinvolti devono urgentemente integrare la conservazione delle tigri e del loro ambiente nella pianificazione dello sviluppo – ha affermato Baltzer. – La buona notizia è che esistono soluzioni e non è troppo tardi. Ma se i paesi interessati non agiscono ora il danno sarà irreparabile”.
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