Il Living planet report del Wwf testimonia che la crisi della biodiversità è reale e intrecciata alla crisi climatica. Ma possiamo invertire la rotta.
Australia, dopo i devastanti incendi la natura mostra segni di ripresa
I primi koala salvati dalle fiamme sono stati reintrodotti in natura e un piccolo marsupiale che si credeva estinto, è sopravvissuto.
Lo scorso 2 marzo, dopo 240 interminabili giorni, l’Australia ha finalmente smesso di bruciare. Gli sterminati incendi che hanno devastato il Paese per otto mesi, hanno bruciato oltre diciotto milioni di ettari di territorio, provocando danni incalcolabili alla fauna. Le fiamme avrebbero ucciso oltre un miliardo di animali, contando “solo” uccelli, rettili e mammiferi, e messo a rischio la sopravvivenza di ben 113 specie.
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Ma la natura, con l’indomita pulsione alla vita che la contraddistingue e in cui il confine tra vita e morte è più sfumato di quanto siamo portati a credere, ha iniziato gradualmente a riprendersi. Sia col suo potere rigenerativo, come testimoniato dalle foreste carbonizzate da cui spuntano nuovi germogli, che con l’aiuto dell’uomo, che ha soccorso e offerto aiuto a migliaia di animali.
I koala tornano a casa
I koala (Phascolarctos cinereus), le vittime animali più note degli incendi e le cui popolazioni avrebbero subito un grave declino, stanno gradualmente tornando nel loro ambiente. Gli animali salvati dalle fiamme hanno trascorso gli ultimi mesi in centri di recupero e giardini zoologici, dove hanno ricevuto le cure necessarie. I soccorritori hanno iniziato a reintrodurre questi animali in natura e, in alcuni casi, proprio sull’albero in cui erano stati trovati.
I primi esemplari sono stati rilasciati dall’organizzazione conservazionista Science for wildlife, che ha liberato dodici koala sulle Blue mountains, nel Nuovo Galles del Sud, il 25 e 27 marzo. “Siamo lieti di portare finalmente i nostri koala a casa – ha commentato Kellie Leigh, direttrice esecutiva dell’organizzazione -. Abbiamo valutato a lungo le condizioni dell’area da cui li abbiamo salvati, per stabilire quando sarebbero migliorate abbastanza da consentire agli alberi di sostenere di nuovo i koala. Le piogge recenti hanno aiutato e ora c’è cibo a disposizione, quindi è il momento giusto. Li seguiremo via radio e li terremo d’occhio per assicurarci che si sistemino bene”.
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Anche il primo dei 26 esemplari curati all’ospedale per koala di Port Macquarie, un giovane maschio chiamato Anwen, è stato liberato lo scorso 2 aprile. “Questa è una giornata che ci riscalda il cuore – ha dichiarato Sue Ashton, presidente dell’ospedale -. Vedere la nostra popolazione di koala iniziare a riprendersi da un periodo così devastante è un momento di orgoglio per l’Australia”.
Il raro marsupiale scampato all’estinzione
Non solo koala e canguri, anche specie meno note e iconiche, ma non meno preziose, sono state duramente colpite dagli incendi e alcune hanno rischiato di scomparire per sempre. Tra queste si temeva esserci un piccolo marsupiale endemico dell’Isola dei canguri, piccolo paradiso ancora al riparo da specie invasive come volpi e conigli, situato al largo dell’Australia meridionale, chiamato Sminthopsis aitkeni. Questo piccolo mammifero, la cui popolazione prima del disastro contava solo 300 individui, vive esclusivamente in un’area all’estremità occidentale dell’isola, completamente distrutta dalle fiamme, e si riteneva fosse la prima specie estinta a causa degli incendi in Australia.
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Nonostante oltre il 90 per cento del loro habitat sia stato distrutto, secondo quanto riferito dalla ong Kangaroo island land for wildlife, alcuni di questi piccoli e tenaci animali sono riusciti a sopravvivere, trovando forse riparo nelle cavità del terreno. Le trappole fotografiche dell’organizzazione hanno infatti documentato la presenza di questi elusivi marsupiali, aiutati anche dal cibo supplementare lasciato loro dai membri di Kangaroo island land for wildlife e dalla costruzione di una recinzione installata dalla Australian wildlife conservancy per tenere fuori i gatti ferali da un’area di 13,5 ettari.
Un aiuto agli animali
Per aiutare gli animali più vulnerabili a sopravvivere e a non morire di fame in un ambiente trovatosi di colpo senza risorse da offrire, nelle aree più colpite dell’Isola dei canguri sono state installate diverse mangiatoie, per un totale di 83 stazioni. Grazie a questo supporto, gli animali si sono gradualmente ripresi e stanno lentamente tornando a nutrirsi autonomamente. Le organizzazioni coinvolte, tra cui Rspca South Australia, stanno quindi riducendo la frequenza con cui forniscono cibo agli animali, per incoraggiarli a tornare nuovamente a sostentarsi senza aiuti.
“Stiamo anche iniziando a ridurre l’attrattiva di ciò che viene offerto, fornendo solo mangime in pellet, non il cibo umido che amano davvero, come carote, patate dolci e mais – ha spiegato Melanie Lambert, responsabile delle operazioni sul campo della Rspca South Australia -. È difficile, ma dobbiamo essere un po’ cattivi per fare del bene, non vogliamo che gli animali facciano affidamento troppo a lungo sul cibo supplementare che stiamo fornendo”.
Il coronavirus ostacola la conservazione
Gli sforzi di conservazione e di valutazione dell’effettivo impatto degli incendi boschivi, fondamentale per monitorare il recupero di specie ed ecosistemi, hanno purtroppo subito un notevole rallentamento a causa della pandemia di Covid-19. La crisi sanitaria, in particolare, impedisce o limita fortemente il lavoro sul campo degli scienziati, impegnati a valutare l’impatto dei roghi, privandoli di preziose informazioni.
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Le operazioni più urgenti, come il foraggiamento alla fauna, sono comunque proseguite in molte aree, adottando alcune precauzioni. Alcune attività di monitoraggio, volte a comprendere lo stato delle specie più a rischio e a pianificare le necessarie azioni per favorirne il recupero, sono però state sospese a causa delle limitazioni agli spostamenti. “Significa che non possiamo seguire la traiettoria completa del recupero e non possiamo determinare l’iniziale impatto degli incendi”, ha detto al Guardian Mark Lintermans, professore dell’università di Canberra.
Oltre a impedire in molti casi l’accesso ai siti di studio, l’emergenza legata al coronavirus avrà un ulteriore impatto su diverse aree di ricerca ambientale e scientifica, privandole di necessari finanziamenti, che saranno verosimilmente dirottati altrove.
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