Investimenti sostenibili

Benessere animale, gli investitori abbandonano gli allevamenti intensivi

Cos’è il benessere animale Il benessere animale indica lo stato e le condizioni in cui vive un animale, come definito dall’Organizzazione mondiale della sanità animale (Oie), un’organizzazione intergovernativa responsabile del miglioramento della salute degli animali in tutto il mondo. Un animale è in buone condizioni di benessere quando è sano, a proprio agio, ben nutrito,

Cos’è il benessere animale

Il benessere animale indica lo stato e le condizioni in cui vive un animale, come definito dall’Organizzazione mondiale della sanità animale (Oie), un’organizzazione intergovernativa responsabile del miglioramento della salute degli animali in tutto il mondo. Un animale è in buone condizioni di benessere quando è sano, a proprio agio, ben nutrito, sicuro, capace di esprimere comportamenti innati e quando non prova dolore, paura e angoscia.

L’allevamento intensivo, definito come un processo industriale in cui gli animali e i prodotti ricavati (come uova, latte e pelle) vengono prodotti in massa, rappresenta una delle preoccupazioni principali nell’ambito del benessere animale. Considerando che l’allevamento intensivo è un’azienda, il suo obiettivo è proprio quello di massimizzare la produzione e il conseguente profitto, trattando gli animali come mera merce.

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A livello globale circa 56 miliardi di animali sono allevati per l’industria del cibo ogni anno. Gli allevamenti intensivi sono il 67% della produzione di carne di pollame, il 50% della produzione di uova e il 42% della produzione di carne suina © Naphtalina/Getty Images

Il benessere degli animali da allevamento, un rischio materiale per gli investitori

Gli investitori sono sempre più sensibili alla natura rischiosa delle pratiche dell’allevamento intensivo delle aziende presenti nel loro portfolio. Secondo un rapporto di Farm animal investment risk & return (Fairr) – una coalizione di investitori da 1.250 miliardi di dollari che ha l’obiettivo di includere l’allevamento intensivo nell’agenda degli investitori – gli allevamenti intensivi sono esposti ad almeno 28 considerazioni di natura ambientale, sociale e di governance (Esg) che potrebbero avere effetti negativi sulla performance finanziaria delle aziende e sui profitti degli investitori. Fairr ha elaborato uno schema che lega i fattori Esg a quattro risultati finanziari: produzione e prezzo; accesso al mercato; reputazione; aspetti giuridici e regolamentari.

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Gli investitori chiedono un maggiore benessere degli animali da allevamento

Ogni anno, le malattie degli animali causano la perdita di almeno il 20 per cento della produzione animale mondiale, ad un costo di 300 miliardi di dollari secondo la Oie. Per via di questi rischi, l’allevamento intensivo e le sue ripercussioni vengono considerati con sempre più attenzione da parte dei maggiori investitori. Questo si traduce in una migliore integrazione di questi rischi in fase decisionale e di analisi, un maggiore impegno con le aziende e una maggiore richiesta di informative attinenti.

Gli effetti negativi in termini di salute umana, le emissioni generate e la potenziale avversione dei consumatori alla crudeltà animale stanno diventando preoccupazioni importanti per gli investitori. (Adam Black, Coller Capital)

Negli ultimi anni, diversi investitori importanti come Aviva Investors, Bnp Paribas e istituzioni finanziarie per lo sviluppo come la Società finanziaria internazionale (Ifc) e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Ebrd) hanno iniziato a includere questi rischi nelle proprie analisi di investimento. Fairr ha anche mostrato i case study di dieci investitori e fornitori di servizi di investimento sottolineando come stiano prendendo in considerazione queste tematiche in diversi modi, ad esempio escludendo del tutto le aziende legate all’allevamento intensivo ed elaborando politiche e documenti di posizione oppure relazionandosi con le aziende per supportare migliori performance e relazioni finanziarie del benessere animale.

Uno degli strumenti più importanti in questo processo è il Business benchmark on farm animal welfare (Bbfaw), un quadro di riferimento che valuta e pubblica una classifica delle 80 aziende alimentari più grandi del mondo – rivenditori al dettaglio, bar, ristoranti e produttori di cibo – in base alle loro politiche, pratiche manageriali e comunicazione in tema di benessere degli animali da allevamento. Questo tipo di riferimento aiuta non solo a identificare le aziende migliori e peggiori ma anche a dar spazio al benessere degli animali da allevamento nelle agende degli investitori.

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Fonte: Cowspiracy

I rischi ambientali

Oggi l’allevamento di bestiame ha un grande impatto sulle risorse naturali come terra, acqua e combustibili fossili. Le imprese agricole producono una quantità relativamente piccola di carne, latticini e uova ma producono quantità sconcertanti di rifiuti e di gas a effetto serra, inquinando e contribuendo ai cambiamenti climatici. Questo settore è, perciò, vulnerabile agli effetti finanziari negativi dovuti ai cambi delle normative ambientali o alla violazione di quelle esistenti. Ad esempio, Tyson Foods (uno dei più grandi produttori di carne al mondo) ha pagato più di 25 milioni di dollari dal 2001 in accordi legali e multe per l’inquinamento dell’acqua.

Un altro tema fondamentale è il rischio di malattie. Gli allevamenti intensivi tengono migliaia di animali chiusi a stretto contatto che diventano, così, incubatori di malattie. Nella prima metà del 2015, ad esempio, gli Stati Uniti hanno registrato la peggiore epidemia della storia di influenza aviaria (sottotipo H5N2), che si è espansa rapidamente da un allevamento all’altro. Il virus ha causato la morte di quasi 50 milioni di galline e altri volatili, ha portato al divieto di esportazione di pollame americano in 40 paesi e all’emissione di profit warning da parte di molte aziende alimentari come Hormel e Post Holdings.

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Quando l’influenza aviaria infetta un volatile in un allevamento di polli, tutta la popolazione di pollame viene soppressa per evitare la diffusione della malattia. Circa il 95 per cento delle galline da uova passano la vita in gabbie in batteria di ferro di circa 170-193 centimetri quadrati (un foglio di carta standard misura 238 centimetri quadrati) © Sven Hagolani

I rischi sociali

Un rischio importante che si presenta con i metodi dell’allevamento intensivo è l’uso eccessivo di antibiotici. L’80 per cento di tutti gli antibiotici negli Stati Uniti (e il 50 per cento in Europa) viene usato negli allevamenti intensivi, secondo i dati di Fairr. Gran parte di questi antibiotici sono usati su animali sani per accelerarne la crescita o per prevenire il contagio di una malattia in condizioni antigieniche o di sovraffollamento. La conseguenza è l’aumento di batteri letali resistenti agli antibiotici. A ottobre 2016, per esempio, un’investigazione condotta dal giornale britannico The Guardian ha fatto emergere che in Danimarca il ceppo CC398 di Mrsa (Staphylococcus aureus resistente alla meticillina), legato agli allevamenti intensivi di animali (in particolare suini), aveva portato ad almeno sei decessi e all’infezione di 12mila persone. Le aziende al dettaglio hanno dovuto ritirare i propri prodotti a causa di contaminazioni da salmonella legate alla resistenza agli antibiotici, un fenomeno che può anche portare al fallimento del trattamento in individui infetti.

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Ogni anno 480mila persone sviluppano la tubercolosi resistente agli antibiotici. La resistenza agli antibiotici sta anche iniziando a complicare la lotta all’Hiv e della malaria. Fonte: Center for disease control and prevention

I rischi per la reputazione

Una maggiore copertura mediatica sulla mancanza di etica nel modo in cui gli animali vengono allevati ha portato a un cambiamento nelle preferenze dei consumatori e a dei rischi per la reputazione delle aziende. Ad esempio, nel 2008 sono state presentate prove di violenza sugli animali e preoccupazioni per la salute contro l’azienda californiana Hallmark/Westland meat packing company, inducendo il dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti a ritirare più di 63 milioni di chili di carne bovina (il più grande ritiro di carne bovina nella storia del paese). L’azienda è anche andata incontro a una sentenza da 500 milioni di dollari, andando in bancarotta nel 2012.

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Le scrofe vengono tenute in “gabbie da gestazione”  dove passano la maggior parte della vita, quasi incapaci di muoversi © Urs Flueeler/EyeEm

L’allevamento intensivo include diverse pratiche: i vitelli destinati alla produzione di carne vengono confinati in casse di legno (appena nati vengono separati dalla madre e costretti a giacere nei propri escrementi senza poter nemmeno girarsi); i pulcini maschi vengono tritati vivi perché inutili per l’industria delle uova; agli animali vengono iniettati ormoni della crescita e antibiotici; al bestiame vengono tagliate le corna e, insieme alle pecore e ai maiali, gli viene tagliata la coda senza antidolorifici.

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Ai pulcini maschi viene tagliata la punta del becco per via delle condizioni di sovraffollamento. Questa procedura dolorosa, conosciuta come sbeccamento, porta a dolore cronico e inedia © Filisteen Khan

Verso una catena del valore sostenibile

L’allevamento intensivo responsabile sta prendendo il via nel mondo degli investimenti. Ma il fatto che l’impegno degli investitori sia ancora limitato indica il bisogno di aumentare la consapevolezza sui rischi finanziari associati al settore e di richiedere relazioni sul benessere degli animali delle aziende. Senza dubbio servono dei cambiamenti all’interno del settore affinché diventi sostenibile per tutti gli stakeholder della catena del valore.

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