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Il microcredito potrebbe dare nuova vita ai beni confiscati alla mafia. Così almeno ha proposto il convegno che si è tenuto sabato 17 maggio al Palazzo di Giustizia di Catania, organizzato, tra gli altri, da Università di Catania, Arcidiocesi di Catania, Confindustria e Credito Valtellinese. Scopo del convegno era presentare i contenuti del ddl di
Il microcredito potrebbe dare nuova vita ai beni confiscati alla mafia. Così almeno ha proposto il convegno che si è tenuto sabato 17 maggio al Palazzo di Giustizia di Catania, organizzato, tra gli altri, da Università di Catania, Arcidiocesi di Catania, Confindustria e Credito Valtellinese.
Scopo del convegno era presentare i contenuti del ddl di riforma del Codice antimafia. Tra i punti cardine del documento, la destinazione di una parte del patrimonio confiscato, 5 miliardi, a un apposito fondo di garanzia presso l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc). Nelle intenzioni del ddl, i 5 miliardi si collocherebbero a presidio di garanzie fideiussorie in favore del sistema bancario per il 70 per cento dell’originario valore. In sostanza, dando avvio a un’operazione di microcredito del valore di circa 7 miliardi.
Secondo i dati diffusi da Transcrime, centro di ricerca dell’Università Cattolica e dell’Università di Trento, solo il 15-20 per cento delle 2.000 ditte confiscate dal 1983 è ancora oggi attivo sul mercato, il 60 per cento è stato liquidato mentre il 10 per cento è fallito.
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