La Cop28 è finita, ma bisogna essere consapevoli del fatto che il vero test risiede altrove. Dalla disinformazione al ruolo delle città, ciò che conta avviene lontano dai riflettori.
Nella bozza di accordo della Cop 21 ancora molti nodi da sciogliere
I delegati hanno consegnato sabato la bozza di accordo, più snella delle precedenti ma ancora fumosa. Le ong: “Tutte le opzioni sono ancora sul tavolo”.
20 pagine, seguite da altre 21 di “decisioni” e 5 di “note informative”. Con decine di opzioni da scegliere e centinaia di questioni ancora da dirimere. Si presenta così la bozza di accordo consegnata dopo la prima settimana di lavori dalle delegazioni dei quasi duecento paesi presenti alla Cop 21 di Parigi. Nella seconda settimana il testo passa nelle mani dei ministri, che avranno tempo fino all’11 dicembre per tentare di trovare un punto d’incontro tra le parti.
La domanda che divide di più è: chi paga?
Primo fra tutti, il problema dei finanziamenti, che appare il punto sul quale gli stati partecipanti restano più lontani: “Si tratta di una questione chiave – spiega Armelle Le Comte, portavoce di Oxfam France – eppure abbiamo registrato pochi avanzamenti. Si è detto che sono necessari 100 miliardi di dollari all’anno, di qui al 2020, per l’adattamento ai cambiamenti climatici ma per ora ne sono stati rintracciati finora tra 5 e 8. E non c’è risposta alla richiesta delle nazioni africane, che hanno proposto un fondo da 32 miliardi”. “Quello finanziario – gli fa eco Bandon Wu, di ActionAid – è un punto cruciale: senza fondi è impossibile garantire la protezione dei più poveri e dei più vulnerabili”.
Un altro punto fondamentale è legato alla decarbonizzazione: domenica a Parigi centinaia di persone, guidate da alcune associazioni tra le quali Greenpeace, hanno lanciato un messaggio coreografico e preciso chiedendo di effettuare una transizione energetica che possa garantire il 100 per cento di produzione da fonti rinnovabili.
In generale, è oggettivamente difficile esprimere un giudizio netto sulla bozza di accordo. “Dobbiamo essere franchi: tutti i temi politici più complicati non sono ancora stati risolti”, ha ammesso il negoziatore dell’Unione europea, Miguel Arias Canete. La Réseau action climat, coalizione di decine di ong ecologiste che segue da vicino i negoziati, sottolinea infatti che se da un lato “il testo ora è meno denso”, dall’altro “tutte le opzioni sono ancora sul tavolo: le migliori come le peggiori”. Nel documento, infatti, sono presenti ancora più di novecento espressioni tra parentesi quadre (ovvero sulle quali non c’è ancora accordo).
Ad esempio, non si è deciso ancora nulla in merito all’obiettivo principale della conferenza, ovvero se limitare la crescita della temperatura media globale a 2 o a 1,5 gradi centigradi, entro la fine del secolo. Né ci si è accordati sulla data delle prima revisione delle promesse di riduzione delle emissioni di CO2 (Indcs) avanzate dagli stati prima della Cop 21: il loro aggiornamento è fondamentale, visto che tali impegni sono stati considerati quasi unanimemente insufficienti.
Nella bozza di accordo dissensi persino sui diritti umani
E non è tutto: i negoziatori avrebbero manifestato punti di vista differenti perfino sull’espressione, presente tra parentesi quadre all’articolo 2, che richiama al “rispetto dei diritti umani”. Il che ha seminato in alcuni un profondo pessimismo: è il caso di Doudou Pierre, haitiano, membro dell’organizzazione contadina Via Campesina, che dal Villaggio delle Alternative organizzato a Montreuil si è detto sicuro che “l’assemblea dei capi di stato e di governo non fornirà alcuna soluzione”.
Per tentare di imprimere sin da lunedì il giusto slancio alla conferenza, il ministro degli Esteri francese (nonché presidente della Cop 21), Laurent Fabius, ha riunito la squadra dei quattordici “facilitatori” incaricati di assisterlo durante la seconda settimana della conferenza. Ciò che appare piuttosto chiaro, dopo una settimana di lavori, è una netta separazione tra i paesi che producono la maggior parte delle emissioni di gas ad effetto serra e quelli in via di sviluppo che si considerano vittime dei cambiamenti climatici e, per questo, non intendono stanziare alcuna somma per contrastarli.
“Per lo meno – osserva Sandeep Chamling Rai, a capo della delegazione del Wwf – i negoziatori hanno convenuto che nell’accordo dovrà essere presente un obiettivo chiaro e globale in termini di politiche di adattamento. Noi chiediamo che esso sia collegato all’indicazione di 1,5 gradi centigradi come massimo accettabile in termini di crescita della temperatura, visto che già con un solo grado si stanno verificando effetti devastanti, soprattutto per le comunità più vulnerabili. Non dobbiamo mai dimenticare, infatti, che per molte persone si tratta di una questione di sopravvivenza”.
Immagine in evidenza di @Yann_A_B / @SpectralQ
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