La capitale dello Sri Lanka ha sottratto le plaudi che la circondano ai rifiuti, grazie agli sforzi delle istituzioni e della comunità.
Il racconto di una notte di bracconaggio di uova di tartaruga
I bracconieri in Nicaragua continuano la ricerca delle uova di tartaruga. Per salvare le tartarughe marine occorre capire il contesto socio-culturale.
C’è un momento preciso, all’imbrunire, in cui i toni dell’arancio lasciano spazio all’argento e le onde dell’oceano si appiattiscono lentamente fondendosi con la spiaggia. Il bagnasciuga si popola di granchi eremita in cerca di cibo e mentre i pellicani rientrano dalla caccia in formazione lineare, le garze si sistemano tutte insieme, immobili, su un albero. Il buio è arrivato e, con lui, anche i bracconieri di uova di tartaruga.
Sono a decine, e perfettamente organizzati: quelli in moto si spostano velocemente da un lato all’altro della striscia di sabbia, pronti a riferire ogni movimento sospetto e ad identificare l’eventuale presenza di qualche “curioso”, come me. A piedi, una strana processione di uomini e donne di ogni età muniti di zaino, secchiello e torcia. Tra loro anche qualche bambino e un gruppetto di cani di strada così magri da non capire come possano ancora reggersi in piedi e, soprattutto, trovare la forza di muovere la coda ad ogni sguardo rubato o ad ogni tortilla trovata tra i rifiuti. Come tante sentinelle, i tortugueros – come vengono chiamati – si posizionano a gruppi di tre o quattro più o meno ogni cinquanta metri. È una vera e propria barriera atta ad assicurarsi che nessuna tartaruga possa scappare alle loro torce.
I tortugueros di Playa Hermosa cercano le uova di tartaruga
Siamo a Playa Hermosa, in Nicaragua, una delle tante spiagge incontaminate in cui cinque delle sette specie di tartarughe marine esistenti al mondo – tutte in pericolo di estinzione – vengono a deporre le uova. Tra queste, anche Lepidochelys oliveacea, o tartaruga olivastra, i cui esemplari, tra agosto e ottobre, arrivano a migliaia sulle spiagge dando vita a quel fenomeno conosciuto come arribadas. Secondo i dati ufficiali del ministero dell’Ambiente e delle Risorse naturali (Marena), nel 2022 nel rifugio del Rìo Escalante, sono state registrate 12.239 deposizioni, in una sola notte . Il tutto a una ventina di chilometri da dove, ogni sera, si consuma quello che è un vero e proprio saccheggio. Seppur in forma minore, infatti, qui la deposizione delle uova avviene tutto l’anno, specialmente nelle notti di luna piena e quando il vento che spazza la costa si placa. È allora che dopo un viaggio di migliaia di chilometri, le tartarughe escono lentamente dall’acqua e raggiungono la spiaggia in cui sono nate. Dopo aver verificato le condizioni della sabbia, e aver raggiunto un punto lontano dall’imprevedibilità delle onde, iniziano a scavare un buco di circa quaranta centimetri dove, nell’arco di più o meno due ore, deporranno dalle ottanta alle cento uova. Una volta terminato, copriranno il buco e torneranno in mare. Un processo che può durare anche sei ore, un tempo sufficiente per depredare migliaia di esemplari di una nuova generazione che non vedrà mai la luce.
Fingendomi una turista eccitata all’idea di poter vedere una tartaruga, mi avvicino ad un gruppo di tre ragazzi. Uno di loro sta illuminando freneticamente il mare con una torcia così potente da far invidia ad un faro costiero. Chiedo loro se sono stati così fortunati da vederne una. Mi rispondono di no. “È troppo presto, forse più tardi”. Con la coda dell’occhio, però, mi accorgo che sulla sabbia qualcosa si muove. È una tartaruga olivastra. Dalle dimensioni potrebbe avere una cinquantina d’anni. Non potendola più nascondere, le illuminano il muso. È nervosa. Continua a soffiare e a cercare di scappare. Intorno a lei, una serie di scie che indicano che ha provato a scavare più di una volta. Uno di loro la solleva a fatica e la schiaccia dentro uno dei buchi. Con il piede continua a spingerle l’addome. Mi dice che è per vedere se ha le uova e per farla stare calma “perché è brava (aggressiva)”. Contenere la rabbia, e le lacrime, è difficile. Nonostante l’area marina protetta disti solo pochi chilometri, di guardaparco non c’è nemmeno l’ombra e chiamare le autorità sarebbe ridicolo e controproducente. Siamo in una località in cui sono presenti nove comunità, per un totale di 1.800 abitanti, e la possibilità che qualcuno agisca su chiamata di una turista, contro quello che con tutta probabilità potrebbe essere un parente prossimo, è quasi nulla.
Pochi minuti dopo veniamo raggiunti da un uomo in moto. Avrà una quarantina d’anni. Dice che a poche decine di metri ne è arrivata un’altra e che “è buona”. Gli chiedo come sono fatte le uova, e se posso vederne una. Mi dice che non le ha ancora deposte ma che se voglio assaggiarle, posso andare in un ristorante qualsiasi del paese. “Sono buonissime e fanno molto bene”, aggiunge. Della stessa idea è la giovane cameriera del locale in cui mi reco la mattina successiva per fare colazione. Dopo aver chiesto il caffè, e aver captato la faciloneria della persona, provo ad andare dritta al punto: “Dove trovo uova di tartaruga?”. La risposta è così sincera e candida da essere sconcertante: “Se le vuoi cucinare tu, le puoi trovare in qualsiasi mercato e io ti posso dare una ricetta. Con limone e peperoncino sono deliziose. Magari in insalata, o accompagnate da yucca fritta o bollita. Altrimenti le abbiamo anche noi”. Trapela entusiasmo e mi racconta che vengono date ai bambini per rinforzare il sistema immunitario mentre “agli uomini piacciono perché li rendono più forti”. È l’incipit di una storia già sentita mille volte, quella della virilità guadagnata a suon di pezzi di animali: che siano corna di rinoceronte, squame di pangolino, pelle d’elefante, estratto di pene essiccato di tigre o di asino… Solo che, questa volta, il vigore sessuale dipende dal consumo di uova di tartaruga che, in realtà, oltre alla potenziale presenza del batterio della salmonella, contengono dieci volte più colesterolo rispetto alle uova di gallina e il loro consumo frequente può comportare seri danni alla salute umana.
Un mercato nero alimentato dalla povertà
Nonostante la caccia e l’estrazione di uova di tartaruga siano illegali in tutto il paese dal 2007 , in Nicaragua, il loro consumo è fortemente radicato nella tradizione tanto nella costa atlantica che in quella caraibica dove, peraltro, è ancora frequente cucinarne la carne. In particolare, nelle aree abitate da gruppi etnici come i Mayagnas, i Miskitos, e i Ramas, quella che era un’usanza ancestrale si è trasformata negli anni in un bisogno economico dettato dalle condizioni di povertà in cui versa la popolazione. Il Nicaragua, infatti, è uno dei tre Paesi più poveri dell’America Latina, insieme ad Haiti e al Venezuela. Qui, secondo i dati dell’Istituto nazionale per l’informazione sullo sviluppo (Inide), il salario medio mensile è di 12.951,3 córdobas (pari a 362,27 dollari), una cifra neanche lontanamente sufficiente a comprare la metà del paniere alimentare di base, il cui prezzo, a marzo 2022, era di 16.998 córdobas (475,46 dollari). La situazione non cambia se consideriamo il salario reale che, a febbraio scorso, era di 4.041,7 córdobas (113,05 dollari).
Povertà e crisi ambientale: due facce della stessa medaglia
Dal gennaio del 2007 il Nicaragua è governato da José Daniel Ortega Saavedra, ex guerrigliero e leader del Frente sandinista de liberación nacional (Fsln), il partito emerso dopo il trionfo della Rivoluzione sandinista che ha liberato il Paese dalla dittatura filostatunitense di Somoza. In carica da cinque mandati consecutivi insieme alla moglie, la vicepresidente Rosario Murillo, Ortega governa uno stato di polizia in cui vige la repressione sistematica tanto che, nel 2016, su suo ordine la Corte di giustizia ha tolto la personalità giuridica all’unico partito di opposizione assicurandosi la rielezione e impedendo l’accesso ai seggi agli osservatori nazionali e internazionali.
Una situazione che, nel 2018, è sfociata nella cosiddetta “rivoluzione di aprile”: un’ondata di proteste e violenza che ha portato con sé 355 morti e una situazione economica e sociale sempre più tesa. In quello stesso anno, all’interno della rifugio di La Flor, sono stati saccheggiati almeno duemila nidi e sei tartarughe sono state uccise per ottenere rapidamente le uova che, ad oggi, hanno un valore pari a 300 cordoba (7.60 euro) per dozzina. Una cifra che può sembrare irrisoria ma che, se moltiplicata per le cento uova che, in media, una tartaruga depone nel nido, ci fa capire come in soli cinque giorni un tortuguero possa ottenere il salario medio mensile necessario a sfamare la famiglia. Se poi consideriamo che ogni bracconiere fa razzia di tutti i nidi che trova in una sola notte, allora è facile comprendere come l’affare sia troppo remunerativo per poter essere abbandonato senza un lungo lavoro di mediazione, diffusione di cultura e un benessere economico ancora lontano dall’essere raggiunto.
Per salvare le tartarughe marine occorre capire il contesto
“Comprendere lo sfruttamento di un animale tanto nobile e antico, come le tartarughe marine, è uno sforzo quotidiano. È forse la cosa più difficile del mio lavoro – mi racconta Erika Santacruz Lopez, biologa marina e responsabile del Gruppo tortuguero di Bahìa de Los Angeles, in Baja California (Messico) – ma è altrettanto necessario perché se non facciamo lo sforzo di calarci nei panni di una popolazione in grave difficoltà, e non proviamo a comprendere il contesto socio-culturale in cui ci troviamo, non possiamo sperare di aprire un dialogo e attuare un cambiamento”. Come in tutto il Centroamerica, infatti, anche in Messico il consumo di uova e di carne di tartaruga marina è fortemente radicato nella tradizione ma, grazie al lavoro di persone come la dottoressa Cruz, la situazione sta piano piano cambiando. “Il primo passo è studiare e capire il contesto. Poi è necessario iniziare a lavorare con i bambini, coinvolgerli nelle attività che riguardano il mare e, quando possibile, nella liberazione dei piccoli dopo la schiusa delle uova. Va spiegato loro che quella tartaruga così piccola dovrà affrontare mille pericoli e che, quando la vedranno emergere dalle onde, una volta cresciuta, pronta per deporre le uova sulla spiaggia in cui è nata almeno vent’anni prima, staranno assistendo ad un miracolo”. E lo è davvero se pensiamo che, negli ultimi trenta anni, più di 1.1 milioni di tartarughe marine sono state uccise illegalmente.
Qualche giorno dopo, camminando su una spiaggia al confine con la Costa Rica, ho incrociato il cammino di una tartaruga appena nata. Sono rimasta a guardarla mentre lottava con le onde e, nonostante la sua vita fosse appena iniziata, ho pensato che aveva appena vinto la sua battaglia più grande. Qualche metro più in là, infatti, un nido che per qualche istante aveva accolto un centinaio di uova, era riuscito a proteggerne solamente uno e ora, la piccola vita che ne era uscita, stava correndo ad abbracciare il mare.
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