
Secondo il primo studio a indagare le cause del crollo della Marmolada, costato la vita 11 persone, l’evento è dovuto in gran parte alle alte temperature.
Una ricerca ha analizzato la correlazione fra l’innalzamento delle temperature globali e l’aumento di metilmercurio negli ecosistemi marini.
Mari e oceani, culla della vita per antonomasia, stanno morendo lentamente, soffocati dalla plastica e avvelenati dalle sostanze tossiche che scarichiamo al loro interno. Tra queste c’è il mercurio e in particolare il metilmercurio, un composto organico altamente tossico del mercurio che dagli organismi più piccoli risale l’intera catena alimentare. I grandi pesci predatori, come tonni, marlin, squali e sgombri, possono accumulare nel corso della loro vita elevatissime concentrazioni di mercurio. Questo fenomeno, già noto e documentato, viene ulteriormente esacerbato dai cambiamenti climatici che alzerebbero fino a sette volte il livello di mercurio presente nei pesci.
È quanto emerso da uno studio condotto da un team di scienziati svedesi e americani delle università di Umea e Rutgers, e pubblicato sulla rivista Science advances. Secondo i ricercatori l’innalzamento delle temperature aumenterebbe esponenzialmente la già elevata presenza di mercurio negli ecosistemi marini che crescerebbe di un ulteriore 300-600 per cento. “Con i cambiamenti climatici ci aspettiamo un aumento delle precipitazioni in molte aree dell’emisfero settentrionale, con un conseguente aumento del deflusso delle acque nei mari – ha spiegato Jeffra Schaefer, coautrice dello studio. – Questo significa che ci sarà un grande rilascio di mercurio negli ecosistemi costieri che sono i principali luoghi di sostentamento per i pesci che la gente mangia”.
Il mercurio viene dunque assimilato inizialmente da microrganismi e, piano piano, sale tutti i gradini della catena alimentare fino ad arrivare agli esseri umani che mangiano pesce. Secondo Erik Bjorn, autore principale dello studio, “ad ogni nuovo gradino nella catena alimentare l’accumulo di metilmercurio, aumenta 10 volte”. Si tratta di un processo chiamato bioaccumulo, per questo le sostanze tossiche si accumulano nei grandi predatori, quando un pesce ne mangia un altro alcune sostanze indigeribili, come il mercurio, non possono essere processate. L’Organizzazione mondiale della sanità ritiene il mercurio fra le dieci minacce più gravi per la salute.
Non sono ancora chiari gli effetti del mercurio sugli animali, anche se i pesci, proprio come noi, sono dotati di terminazioni nervose progettare per registrare il dolore. Sono invece noti i terribili effetti sull’uomo, secondo quanto riportato da Rick Smith e Bruce Lourie, “l’avvelenamento da mercurio può causare danni permanenti al cervello, disturbi del sistema nervoso centrale, perdita di memoria, malattie cardiache, insufficienza renale, danneggiamento del fegato, tumore, perdita della vista, perdita della percezione e tremore. È inoltre tra i sospetti “perturbatori endocrini” che provocano danni allo sviluppo riproduttivo e ormonale dei feti e dei bambini. Alcuni studi suggeriscono inoltre come il mercurio possa essere collegato a malattie neurologiche come la sclerosi multipla, a disturbi da deficit di attenzione e al morbo di Parkinson, anche se le prove in questo caso non danno risultati certi”. Il metilmercurio viene facilmente assorbito dall’apparato digestivo e tende ad accumularsi nel cervello. Secondo gli esperti non esiste un livello sicuro di mercurio, anche piccole dosi possono causare danni fisici e mentali.
Il mercurio viene rilasciato in laghi e fiumi, dai quali poi raggiunge il mare, dalle industrie, specialmente dalle centrali a carbone.
Secondo i risultati della ricerca l’esponenziale aumento dei livelli di mercurio colpirà soprattutto l’emisfero settentrionale, e in particolare il Mar Baltico, il Mare del Nord, il Mar Glaciale Artico e parte dell’Atlantico settentrionale. Potrebbe invece diminuire in alcune aree come il Mediterraneo, l’Africa meridionale e il Nord America.
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