
L’Agenzia europea per l’ambiente ha valutato le perdite in termini economici e di vite legate agli eventi estremi tra il 1980 e il 2023.
Lo stress termico e le epidemie sono un pericolo per la salute umana. Mitigare i cambiamenti climatici significa salvare milioni di vite.
Le conseguenze dei cambiamenti climatici in atto non sono solo ambientali, ma riguardano anche salute globale. Mitigare l’aumento della temperatura, con la riduzione drastica delle emissioni e la riforestazione, vuol dire salvare milioni di vite. Oggi e in futuro.
In un paese come la Gran Bretagna, ad esempio, molte azioni utili per raggiungere l’obiettivo dichiarato delle emissioni zero entro il 2050 allungherebbero la qualità e l’aspettativa di vita della popolazione nei prossimi trent’anni.
Il calcolo si basa su un modello predittivo pubblicato su Lancet e parla di due milioni di anni-vita complessivi “guadagnati” tra Inghilterra e Galles. Come? Meno CO2 significa mobilità dolce, fonti energetiche rinnovabili e un’industria alimentare rispettosa dell’ambiente. Si cammina (pedala) di più, si mangiano meno prodotti di origine animale, si è meno esposti all’inasprimento delle condizioni meteo legate al riscaldamento globale. Quindi si vive più sani, più a lungo.
Due milioni di anni sono tanti e alla maggior parte di noi, siamo onesti, questa cifra da capogiro non risuona granché. Quello che scalda gli animi, letteralmente, sono gli effetti tangibili già in atto, uno su tutti l’aumento della temperatura media globale.
Gli ultimi otto anni sono stati i più caldi mai registrati nel mondo e in diversi paesi europei il 1° gennaio 2023 si è già raggiunto un record, con la colonnina di mercurio a segnare fino a venti gradi più della norma. Temperature così alte sono notoriamente associate all’esacerbazione o alla comparsa di malattie cardiovascolari, respiratorie e cerebrovascolari e condizioni legate al diabete. Nei casi più estremi possono portare a morte prematura.
Durante le sempre più frequenti ondate di calore, il corpo non riesce a raffreddarsi, per questo secondo gli esperti lo stress da caldo potrà diventare la causa ambientale principale di decessi prematuri nei paesi meridionali in Europa. È successo a luglio a Madrid, quando tre lavoratori sono morti in seguito a un colpo di calore. La stessa sorte è toccata a un operaio a Xi’an, nella Cina centrale. Due episodi drammatici che mettono in luce la fragilità di intere categorie professionali spesso a basso reddito. Agricoltori e lavoratori del settore edile in primis.
Che i cambiamenti climatici colpiscano in modo più grave le fasce vulnerabili della popolazione non è una novità. Senza giustizia climatica, non c’è giustizia sociale. Ad esempio, le donne incinte più esposte a temperature elevate o all’inquinamento atmosferico hanno maggiori probabilità di avere gravidanze a rischio. La maggior parte sono nere o appartenenti a minoranze.
Alle difficoltà per il nascituro si aggiungono quelle del concepimento. Un problema, quello dell’infertilità, che oggi riguarda tra l’8 e il 12 per cento delle coppie nel mondo. Le cause sono spesso genetiche, ormonali o anatomiche, ma “il ruolo dei fattori ambientali sulla fertilità umana non si può più ignorare”, avverte la ginecologa Márcia Mendonça Carneiro dell’università federale di Minas Gerais, Brasile.
In particolare, il caldo sembra minacciare la fertilità maschile, peggiorando la qualità degli spermatozoi: lo si legge in un articolo scientifico che analizza e riassume vent’anni di studi sull’argomento. La buona notizia, concludono i ricercatori, è che il danno potrebbe essere reversibile: modificando lo stile di vita si possono evitare diversi fattori di rischio. Quello che invece si avvicina al punto di non ritorno, il cosiddetto tipping point, è un processo di proporzioni colossali. Parliamo della fusione dei ghiacciai.
Quanto? E quanto velocemente fonderà? Sono questi gli interrogativi che si pone la spedizione di ricerca più grande e costosa mai effettuata in Antartide. Duecento scienziati lavorano senza sosta per calcolare quando il ghiacciaio Thwaites smetterà di fare da “tappo” all’enorme calotta continentale. Con l’intero ghiaccio antartico libero di scorrere, il livello del mare potrebbe salire di più di tre metri, provocando alluvioni e migrazioni epocali.
Ma il punto per l’incolumità umana è anche un altro. Le recenti analisi genetiche del suolo e dei sedimenti del lago Hazen, il più grande lago artico al mondo, suggeriscono che il rischio di spillover virale – dove un virus infetta un nuovo ospite per la prima volta – potrebbe essere più alto vicino alla fusione dei ghiacciai.
Mentre le temperature globali aumentano a causa dei cambiamenti climatici, diventa più probabile che virus e batteri rinchiusi nei ghiacciai e nel permafrost possano risvegliarsi e infettare la fauna locale, in particolare perché anche la loro portata si sposta verso i poli.
Ad esempio, nel 2016 un’epidemia di antrace nella Siberia settentrionale che ha ucciso un bambino e infettato almeno altre sette persone è stata attribuita a un’ondata di caldo che ha fuso il permafrost ed esposto una carcassa di renna infetta. Prima di questo, l’ultimo focolaio nella regione era stato nel 1941.
“L’unica conclusione certa è che con l’aumento delle temperature, aumenta il rischio di spillover in questo particolare ambiente”, ha dichiarato al Guardian il professor Aris-Brosou del team di ricercatori coinvolti nello studio sul lago Hazen. “Questo porterà a pandemie? Non lo sappiamo assolutamente”.
L’impronta dei cambiamenti climatici è già impressa sulla salute delle persone. Quanto sarà profonda, possiamo ancora deciderlo. Nel dialetto africano Rukwangali esiste una parola, hanyauku, che significa “camminare in punta di piedi sulla sabbia calda”. Un passo lieve e senza tracce, che accarezza la terra. L’unico che ci può avvicinare a un futuro più sano per tutti.
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