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I cavallini della giara, un viaggio in Sardegna per ammirare alcuni fra gli ultimi cavalli selvaggi d’Europa
I cavallini della giara di Gesturi vivono allo stato brado nella Sardegna centrale. Sono animali rustici, che nei secoli sono sopravvissuti all’inclemenza del clima e all’incursione dell’uomo. Incontrarli è uno spettacolo raro.
Le condizioni atmosferiche probabilmente non potrebbero essere peggiori. L’aria fredda e umida s’insinua sotto i vestiti, il cielo è luminoso ma grigio, di tanto in tanto gli scrosci di pioggia interrompono la monotonia della nebbia. Non c’è anima viva. Scorgiamo una mandria di pecore che fugge alla nostra vista. Proviamo ad avventurarci nelle viscere del parco e, straordinariamente, intravediamo alcuni volontari che all’interno di un casolare si riscaldano davanti al fuoco. “Avete bisogno?”. Uno di loro sfida la tormenta per venirci ad accogliere. “Vorremmo vedere i cavallini della giara”, rispondiamo noi, sentendoci quasi in imbarazzo. “Potete fare un tentativo in quella direzione, ma senza stivali non sarà facile”, avverte l’uomo indicandoci un sentiero. L’imbarazzo cresce, ma lo ringraziamo e decidiamo di tentare nell’impresa. Del resto, siamo venuti fin qui.
L’habitat dei cavallini della giara
Ci troviamo sull’altopiano della giara di Gesturi – sa jara manna (la grande giara), come la chiamano i sardi –, proprio nel centro della Sardegna. Una fortezza naturale che custodisce alcuni fra gli ultimi cavalli selvaggi d’Europa: i cavallini della giara (Equus caballus giarae). Pur avendo un’altezza media di 120 centimetri al garrese, non sono considerati pony. Sebbene abbiano un collo robusto e una testa massiccia, infatti, possono vantare un fisico agile. Non si sa se abbiano vissuto sull’isola fin dai tempi della civiltà nuragica o se vi siano stati successivamente importati dai fenici, ma l’hanno popolata fino al tardo Medioevo. Attualmente, invece, si possono ammirare soltanto sulla giara: un luogo inospitale, dove le risorse necessarie alla sopravvivenza sono più facili da reperire durante l’inverno e la primavera, quando le depressioni naturali dell’altopiano – chiamate paulis – si riempiono di acqua piovana.
Ed è proprio fra le pozzanghere che ci ritroviamo a sguazzare senza stivali, né ombrello, alla ricerca dei cavallini. L’ambiente nel quale siamo immersi è tanto bello da togliere il fiato. Sembra di essere in una di quelle foreste incantate sull’isola scozzese di Skye, che si direbbero popolate dalle fate. La vegetazione è rigogliosa, verde brillante nonostante la temperatura, le ruvide cortecce delle querce da sughero sono ricoperte di morbido muschio, inumidito dalla rugiada. C’è silenzio, ma c’è vita. La si percepisce dappertutto. Non sappiamo se vedremo i cavalli, ma avvertiamo la loro presenza. D’un tratto, scorgiamo una sagoma nascosta fra gli alberi: è una mucca. Ci incute perfino un po’ di timore, perché è gigantesca e sappiamo che le vacche allo stato brado possono dimostrarsi aggressive nel caso si sentano minacciate. Ma decidiamo di seguirla, mantenendoci ad una distanza di sicurezza anche per evitare di spaventarla. Improvvisamente, un suono lontano squarcia il silenzio. È un nitrito. Il battito del cuore accelera: i cavalli sono vicini.
Il branco
Lo sentiamo di nuovo. Stavolta è più forte. All’improvviso, eccolo: uno stallone sbuca trottando dai cespugli. Ci osserva, con i suoi luminosissimi occhi neri. Non sembra importargli troppo della nostra presenza, tant’è che si allontana. Sappiamo che i branchi sono composti da un maschio dominante, da qualche femmina e dai puledri, che generalmente nascono in primavera. Proviamo ad andare nella direzione presa dal capofamiglia.
Lo spettacolo che ci attende non è facile da descrivere. Un gruppo di cavallini sta pascolando sotto la pioggia. La nebbia quasi li nasconde, ma riusciamo comunque a scorgerne le lunghe criniere leggermente arruffate. Il manto bagnato luccica tingendosi di varie sfumature di nero, dal baio scuro al morello. Piove a dirotto, ma restiamo a guardarli. All’improvviso un puledro raggiunge il branco al galoppo, e tutti insieme si mettono a correre e saltare. Si allontanano, quasi danzando, fino a scomparire alla nostra vista. Fradici, torniamo all’auto parcheggiata fuori dal parco. Accendiamo il riscaldamento per asciugarci, consapevoli di aver appena goduto di una delle esperienze più incredibili della nostra vita.
La necessità di tutelare la specie
E pensare che questi cavallini hanno rischiato l’estinzione. Fino alla metà del secolo scorso venivano periodicamente impiegati nelle aie dei paesi della zona per la trebbiatura del grano e dei legumi, lavorando al fianco dell’uomo senza rinunciare completamente alla loro libertà. Con l’avvento delle trebbiatrici meccaniche, l’equilibrio si è rotto: qualche allevatore ha tentato di incrociare i cavallini con animali più imponenti, in vista del commercio delle loro carni, mettendo a rischio la sopravvivenza stessa della razza.
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Intorno alla metà degli anni Settanta, fortunatamente, l’Istituto per l’incremento ippico di Ozieri – a cui è poi subentrato il Dipartimento di ricerca per l’incremento ippico – si è assunto la responsabilità della salvaguardia dei cavallini e della loro unicità. Anche oggi necessiterebbero di maggiori tutele, soprattutto perché i cambiamenti climatici rischiano di minarne l’armonia con l’ambiente e le stagioni, oltre che di ridurre la disponibilità di risorse idriche e alimentari.
Questi animali sono rustici, resistenti e nevrili, dal carattere fiero e indomito. Difficilmente si lasceranno intimidire dalle sfide che si porranno loro davanti. Tuttavia, nel binomio costituito da cavallo e cavaliere, gli ostacoli si superano insieme.
Foto in anteprima © La Giara Sardegna
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