
Con il suo film Nomadland Chloé Zhao è la prima donna asiatica a conquistare il Golden globe per la regia. Ma non è l’unico motivo per cui sentiremo ancora parlare di lei.
Cholitas è il documentario che racconta l’impresa di cinque donne indigene aimara sulla montagna più alta d’America, l’Aconcagua. Una storia di emancipazione e coraggio.
Dora Magueño, Lidia Huayllas, Cecilia Llusco, Elena Quispe, Liita Gonzales. L’apparenza potrebbe spingerci a pensare che si tratti di nomi di persone casuali, comuni, con una storia come tante. Ma ci insegnano fin da piccoli che l’apparenza inganna e difatti dietro quei nomi ci sono cinque donne aimara, da sempre discriminate per essere indigene, che sono riuscite ad arrivare in cima all’Aconcagua, la montagna più alta d’America. Loro sono le protagoniste del documentario “Cholitas”, dal diminutivo della parola aimara che noi tradurremmo come “meticce”, diretto da Jaime Murciego e Pablo Iraburu, prodotto da Arena Comunicación Audiovisual e disponibile online al momento solo in Spagna.
Il posto che considerano casa si chiama El Alto, si trova in Bolivia ed è una città a 4.150 metri sul livello del mare, dove le loro giornate si ripetono uguali cucinando e lavando, mentre i mariti sono via per lavoro nelle Ande come guide di montagna. Eppure anche se tutto sembra stabilito, cinque donne si cominciano a chiedere il perché di una routine in cui sono finite incastrate, che privilegia i loro compagni e non sembra vedere loro, i loro desideri, i loro bisogni. Cominciano a chiedersi come è fatta una vetta, cosa si prova a raggiungerla. Sanno di condividere tutte la passione per quelle terre alte e da lì costruiscono un progetto, arrivare in cima alla montagna più alta d’America, l’Aconcagua con i suoi 6.962 metri, ed è proprio grazie a questo documentario che riescono a provarci e a raccontare la loro storia al mondo.
Servono vestiti pesanti, attrezzatura, i mariti le guidano mentre preparano tutto. Quello che non dimenticano assolutamente sono gli abiti tradizionali delle Cholitas, quelle gonne ampie e colorate che sono da sempre parte della loro identità. Sia le più giovani che le più anziane lasciano trasparire quel misto di entusiasmo e paura che si prova quando ci si avventura in qualcosa di nuovo, mentre immaginano come sarà affrontare per la prima volta da sole un viaggio così lungo e difficile che le terrà impegnate per 20 giorni. Ridono di nervosismo mentre si raccontano i peggiori scenari che potrebbero capitare loro o quando si ricordano che ogni anno muoiono in media almeno tre persone nel tentativo di raggiungere la cima dell’Aconcagua.
Dopo aver consultato le foglie di coca e aver chiesto il permesso alla dea Pachamama di poter scalare la montagna, sono pronte per andare. Ci sono lacrime, abbracci, raccomandazioni, saluti ma c’è un presente che merita di essere vissuto, c’è l’Argentina da raggiungere per tutte le donne native che sono rimaste in silenzio per tanto tempo.
Il viaggio vero e proprio inizia quando arrivano all’Aconcagua National Park: Paula e Nico, guide ufficiali del parco, le accolgono e le aiutano a prendere consapevolezza che sì, la meta è più vicina di prima ma va anche conosciuta meglio prima di approcciarla. Il tempo è solitamente clemente fino ai 5.000 metri, ma poi si passa ad una realtà più imprevedibile, la montagna è esposta e il clima ostile. Ci sono tantissimi fattori coinvolti nel raggiungimento della vetta: non solo il meteo in sé, ma anche una cattiva acclimatazione potrebbe fermarle, arrivare fino in fondo non è una certezza garantita.
Ma delle volte l’importante è cominciare anche solo a mettere un piede dopo l’altro e l’indomani comincia la loro prima camminata verso il campo base. Ogni piccolo traguardo raggiunto merita un applauso, il riconoscere di avere camminato con le loro gonne tipiche e non il solito abbigliamento, nonostante fossero sferzate dal vento e delle volte dalla neve. Confidano in Pachamama, la Madre Terra e in Achachila, l’anziano che rappresenta la montagna, mentre ogni giorno accorciano la distanza. Quando si fermano per riposare, prendono appunti così che possano finalmente essere loro a raccontare ai mariti della loro avventura. Anche le più anziane di loro non sono mai state lontane da casa, non hanno mai smesso di lavorare un giorno della loro vita e per questo ogni dettaglio, ogni momento, ogni persona incontrata diventa un’esperienza unica, un modo per dimenticare almeno per qualche ora del dolore e della fatica lasciati in Bolivia.
Ho sempre creduto che nessuno mi apprezzasse. Sono una ragazza di campagna. Non ho studiato, non ho nulla che possa essere apprezzato. Ma continuo a ripetermi: “Un giorno verrai apprezzata”. Perché a casa ho i miei problemi, ovviamente. Ma respiri profondamente in montagna e ti dimentichi di tutti quei problemi. Era come un sogno. Ho fatto un bel respiro e sono diventata forte. Sono forte, ero orfana e sono cresciuta da sola. Ora affronterò l’Aconcagua da sola. La più alta in America. In quel momento sono diventata forte e mi sono detta: “Sì, ce la farò”. Solo Dio sa perché ho questa opportunità e non posso lasciarla passare.
Per la prima volta hanno ascoltato un loro desiderio interiore, non quello del proprio marito e lo hanno espresso. Una vetta l’hanno già raggiunta, quella fatta di roccia può solo che diventare la ciliegina sulla torta. Per questo sanno fare un passo indietro e attendere quando i venti sono troppo forti per provare ad arrivare a toccarla, sanno che rischierebbero e non è fatto di rischio inutile questo viaggio.
Ma anche quando riescono ad arrivare all’ultimo campo e a partire per l’attacco alla vetta, non è più il meteo a fermarle, piuttosto i limiti davanti ai quali il nostro corpo delle volte ci pone. L’ego cerca di convincerle che sia una qualche forma di fallimento, ma sanno che è nei passi delle altre che continua il percorso verso la cima, che fallire significa non provarci e loro questo lo hanno fatto. Sanno anche che non sarà l’ultima volta che ci proveranno, che quella passione per le terre alte le riporterà a tentare. La bandiera aimara arriva comunque a sventolare lì dove nessuna donna indigena era mai arrivata, poco importa che non siano tutte, possono festeggiare con calma quando sono finalmente ricongiunte e al sicuro.
Quando saremo vecchie e guarderemo al passato, non ricorderemo il tempo passato in cucina o quando portavamo gli zaini di altri. Ricorderemo questo giorno. Il giorno che noi, Cholitas, abbiamo raggiunto il cielo.
Quando sono nuovamente in Bolivia, sono donne diverse, donne che non si nascondono più, che sorridono con la testa alta, che sanno ascoltarsi, che sanno contare l’una sull’altra, che tramite uno schermo ci insegnano a rispettare la Terra e ogni essere umano, che possono dire con fierezza: “Sì, sono una donna aimara!”.
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