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Cinque embrioni creati in laboratorio potrebbero cambiare le sorti del rinoceronte bianco settentrionale, una specie forse condannata all’estinzione.
In questo momento, l’unica cosa che separa il rinoceronte bianco settentrionale dall’estinzione sono cinque embrioni creati artificialmente. Al mondo rimangono solamente due esemplari femmina di questa specie, Fatu e Najin, dopo che nel marzo 2018 è mancato l’ultimo maschio, Sudan. Normalmente, il futuro di questi animali sarebbe dato per spacciato, ma un consorzio internazionale di ricercatori sta lavorando contro il tempo utilizzando avanzate tecnologie di riproduzione per creare nuovi embrioni e cercare di salvare l’intera specie.
I ricercatori hanno ideato un ambizioso protocollo di fertilizzazione in vitro, che utilizza gli ovuli prelevati dalle ultime due femmine e lo sperma congelato degli esemplari maschi defunti. La fertilizzazione avviene in laboratorio, quindi fuori dal corpo degli animali. Il piano prevede, in un secondo momento, di impiantare gli embrioni nel corpo di due vere e proprie madri surrogate appartenenti alla specie del rinoceronte bianco meridionale, i cui esemplari presenti in natura sono di più: tra i 17.212 e i 18.915. Il motivo di questa scelta è che Fatu e Najin sono probabilmente inadatte ad avere dei cuccioli a causa di alcuni problemi di salute.
È il progetto ideato da BioRescue, il gruppo di scienziati guidato da Thomas Hildebrandt del Leibniz Institute for zoo and wildlife research (Izw) di Berlino, a cui stanno partecipando anche Avantea, un laboratorio cremonese di ricerca biotecnologica applicata alla riproduzione animale, che ha condotto il processo di fertilizzazione in vitro; il Kenya Wildlife Service; l’Ol Pejeta Conservancy e lo zoo di Dvůr Králové, in Repubblica Ceca, che è uno dei migliori allevatori di rinoceronti fuori dall’Africa.
Nel 2019 il team era riuscito a creare con successo i primi tre embrioni e dopo poco più di un anno, alla Vigilia di Natale del 2020, è giunta notizia della creazione di altri due nuovi embrioni che porta ufficialmente il numero totale a cinque, aumentando così le chance di sopravvivenza della specie.
Lo stesso Hildebrandt è stato uno dei primi a guardare alla fecondazione assistita come strumento per salvare le specie in pericolo. Qualche anno fa, ad esempio, aveva sperimentato con successo questa tecnica su un gruppo di esemplari di una specie di elefante africano di Savana (Loxodonta africana). Fino ad oggi però, i successi di queste tecnologie sono ancora limitati a poche specie, tra cui il panda gigante (Ailuropoda melanoleuca), l’elefante asiatico (Elephas maximus) e il furetto dai piedi neri (Mustela nigripes).
Non bisogna però dimenticare che procedure come queste − se in futuro si dimostreranno tanto efficaci quanto promettenti − dovrebbero essere viste come uno strumento aggiuntivo da impiegare in casi straordinari e non dovrebbero sostituirsi ad una corretta protezione dell’ambiente e delle specie viventi, animali o vegetali.
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