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La fertilizzazione in vitro potrebbe salvare il rinoceronte bianco settentrionale dall’estinzione
Gli scienziati possono riportare indietro le popolazioni di rinoceronte bianco settentrionale? La fertilizzazione in vitro attraverso gli ovuli delle uniche due sopravvissute femmine è stata completata con successo. Nonostante il traguardo storico, si prospettano ancora molte sfide.
L’estinzione è silenziosa e veloce come la sabbia che scivola in una clessidra: ce ne accorgiamo a malapena finché non è troppo tardi e non possiamo più riavvolgere il tempo. Se qualcuno ci dicesse che gli unici due esemplari viventi di un’intera specie fossero due femmine, penseremmo che non ci sarebbe più nulla da fare. Del resto, una specie che non ha più la possibilità naturale di riprodursi, come può sopravvivere?
Gli ultimi due esemplari femmina
Non si tratta solo di un’ipotesi. Dopo che a marzo dello scorso anno Sudan, l’ultimo rinoceronte bianco settentrionale maschio, è morto di vecchiaia a 45 anni, l’intera specie sopravvive solo con due esemplari femmina: Fatu e Najin. Entrambe vivono presso l’Ol Pejeta Conservancy in Kenya e sono tenute sotto stretta sorveglianza per 24 ore al giorno per evitare che vengano uccise dai bracconieri.
Tuttavia, gli scienziati potrebbero aver trovato un modo per riavvolgere il tempo e salvare dall’estinzione questi mammiferi, che appartengono a una sottospecie del rinoceronte bianco. Un consorzio internazionale di ricercatori chiamato BioRescue, guidato da Thomas Hildebrandt del Leibniz Institute for zoo and wildlife research (Izw) di Berlino, ci ha dato una risposta su come salvare il rinoceronte bianco settentrionale dall’estinzione grazie all’utilizzo di avanzate tecnologie di riproduzione.
La fertilizzazione in vitro: un modello per altre specie?
Il gruppo ha creato uno schema per riformare la popolazione dell’animale attraverso la fertilizzazione in vitro, un processo in cui si fertilizzano gli ovuli in laboratorio, quindi fuori dal corpo dell’animale. Prima della morte di Sudan, per diversi anni gli scienziati del BioRescue hanno prelevato e congelato lo sperma dei rinoceronti bianchi, compreso quello dell’ultimo sopravvissuto, testando la fertilizzazione in vitro per perfezionare la tecnica. La procedura è quindi il risultato di anni di ricerche, aggiustamenti e molta pratica.
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Oggi il Consorzio internazionale degli scienziati e dei conservazionisti ha raggiunto una tappa fondamentale per la riproduzione assistita che potrebbe segnare un punto di svolta per il destino di questi magnifici mammiferi. Usando gli ovuli prelevati dalle ultime due femmine e lo sperma congelato degli esemplari maschi defunti, hanno creato con successo due embrioni di rinoceronte bianco. Gli embrioni sono ora conservati nel nitrogeno liquido, pronti per essere impiantati nelle madri surrogate.
“Con questa tecnologia stiamo sviluppando un vero e proprio modello. Abbiamo solo due esemplari femmina e la maggior parte delle persone direbbe ‘due femmine? Non è possibile salvare una specie dall’estinzione solo con due femmine’. Ma se avremo successo, creeremo un modello scientifico che potremo usare anche per salvare altre specie”, ha detto Steven Seet, capo della comunicazione scientifica dell’Izw.
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Il consorzio è formato da Avantea, un laboratorio cremonese di ricerca biotecnologica applicata alla riproduzione animale, che ha condotto il processo di fertilizzazione in vitro; il Kenya Wildlife Service; l’Ol Pejeta Conservancy e, ultimo ma di sicuro non per importanza, lo zoo di Dvůr Králové, in Repubblica Ceca, che è uno dei migliori allevatori di rinoceronti fuori dall’Africa.
Il consorzio ha annunciato, durante una conferenza stampa tenuta l’11 settembre, di essere riuscito a creare degli embrioni a Cremona. In quell’occasione il direttore generale del Kenya wildlife service, l’ex generale di brigata John Waweru, ha dichiarato: “Gli innovativi embrioni in vitro di rinoceronte bianco sono un chiara prova di cosa si può raggiungere grazie a collaborazioni solide che spingono le frontiere della scienza e salvano le creature dall’estinzione”.
Salvare il rinoceronte bianco settentrionale dall’estinzione
Nel 2014 gli scienziati hanno scoperto che Fatu e Najin sarebbero state probabilmente inadatte per avere dei cuccioli: una ha problemi ai legamenti della zampa posteriore che rendono rischiosa una gravidanza e l’altra probabilmente è sterile a causa di svariate cisti e lesioni uterine. Per aggirare questi rischi, gli embrioni saranno quindi impiantati in vere e proprie madri surrogate appartenenti alla specie del rinoceronte bianco meridionale, i cui esemplari presenti in natura sono di più: tra i 17.212 e i 18.915.
Il 22 agosto di quest’anno, Fatu e Najin sono state sedate e gli scienziati hanno estratto i loro ovociti che, durante la notte, sono stati trasportati in aereo da Avantea a Cremona per l’inseminazione. Estrarre gli ovuli è stato un processo complicato in quanto la procedura non era mai stata provata su un rinoceronte bianco, ma alla fine la squadra è riuscita a contare dieci ovociti sani, cinque da ogni rinoceronte. Al laboratorio di Galli, a Cremona, il team ha aspettato una decina di giorni perché gli ovuli fertilizzati si sviluppassero in embrioni.
“Abbiamo dieci ovociti e la percentuale di embrioni potenziali è del 20 per cento, quindi due embrioni sono una buona media”, ha detto l’embriologo Cesare Galli, fondatore e direttore di Avantea, famoso per aver clonato un cavallo per la prima volta nella storia. “È la prima volta che proviamo questa procedura su questa specie quindi ci sono fattori sconosciuti di tempistiche e i protocolli da tenere in conto”.
Perfezionare la tecnica in un territorio inesplorato
Uno di questi fattori è il perfezionamento della tecnica di impiantazione degli embrioni nelle madri surrogate. Gli scienziati proveranno con la crioconservazione, che consiste nel congelare gli embrioni finché non sono pronti per essere trasferiti nelle surrogate.
“Per impiantare gli embrioni con successo, è importante scegliere delle surrogate che abbiano già dato prova di essere fertili”, ci ha detto Galli. “L’idea, una volta che la gravidanza giunge al termine, è che le madri partoriscano in Kenya, dove la presenza delle altre due femmine (Fatu e Njin) aiuterà i due neonati con l’imprinting”.
Uno dei rischi, infatti, riguarda proprio l’imprinting. Anche se i due piccoli nascessero in salute, senza l’aiuto di Fatu e Najin potrebbero non essere comunque in grado di acquisire il comportamento tipico della loro specie. Questo significa che la protezione delle ultime due femmine non è solamente fondamentale per la propria sopravvivenza, ma è chiave per il successo dell’intera specie in futuro.
L’emergenza del rinoceronte bianco settentrionale
Ci sono cinque diverse specie di rinoceronte nel mondo: tre in Asia e due in Africa, e due di queste contano meno di 80 esemplari in natura. Secondo Save the rhino, un’organizzazione benefica con base nel Regno Unito, in Africa vengono uccisi circa tre rinoceronti al giorno per il loro corno. Questo vale anche per i rinoceronti bianchi, che sono stati sterminati dal bracconaggio e dalla perdita di habitat.
Una volta questa specie viveva in grandi numeri in tutto il Ciad, nella Repubblica Centrafricana, nel Sudan sudoccidentale, nella Repubblica democratica del Congo (Rdc) e nell’Uganda nordoccidentale. Fino al 1960 c’erano ancora 2.360 rinoceronti bianchi settentrionali, sostiene Save the rhino, ma il diffuso bracconaggio e i disordini civili in tutta la regione hanno decimato la specie, riducendo la popolazione a solo 15 esemplari nel 1984.
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Nonostante la domanda di corni di rinoceronte tra gli anni Settanta e Ottanta per la medicina tradizionale cinese e le impugnature dei pugnali in Yemen abbia determinato un boom nel bracconaggio, nel 2003 il numero di rinoceronti bianchi settentrionali era addirittura raddoppiato, grazie a salvataggi internazionali e agli sforzi per la loro protezione. Ai tempi, gli esemplari vivevano in un’unica popolazione nel parco nazionale Garamba nella Repubblica Democratica del Congo orientale. Nei tre anni successivi, tuttavia, la popolazione di rinoceronti bianchi settentrionali è stata sterminata, ancora una volta, dal bracconaggio perché durante la guerra civile congolese, i ribelli e le milizie vendevano avorio e corni per finanziare le loro operazioni. Entro il 2008, il rinoceronte bianco settentrionale è stato considerato estinto in natura.
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Tecniche riproduttive assistite, la chiave per la sopravvivenza?
Per decenni quella del rinoceronte bianco settentrionale è stata una storia segnata dal declino, e oggi la specie, con solo Fatu e Najin rimaste, deve fare i conti con l’estinzione completa. In questo momento, l’unica speranza che hanno risiede in tecniche pionieristiche di riproduzione assistita. Secondo Seet, è cruciale salvare la specie perché questa svolge una funzione a ombrello: la loro estinzione potrebbe causare un effetto domino mortale per altri animali, insetti e piante. “I rinoceronti hanno un enorme impatto sull’ecosistema e sugli habitat perché sono animali che camminano molto e così facendo distribuiscono i semi su territori molto ampi. Li si potrebbe considerare dei veri e propri architetti paesaggistici”, afferma Seet. “Noi però, in quanto umani, possiamo interrompere quel processo, invaderlo e distruggerlo”.
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L’attuale sforzo degli scienziati potrebbe essere l’ultima speranza per questi animali, ma porta con sé anche altre sfide. Dato che Fatu e Najin sono madre e figlia e che lo sperma estratto in passato arriva da solo quattro maschi, il patrimonio genetico disponibile è limitato e questo potrebbe creare problemi per lo sviluppo delle future generazioni. Gli ovuli possono essere estratti dalle femmine solo ogni tre o quattro mesi per un massimo di cinque volte, spiega Galli, e una mancanza di diversità genetica potrebbe ostacolare la sopravvivenza della specie. Secondo il fondatore di Avantea, questa tecnica di inseminazione potrebbe avere successo e portare alla nascita dei piccoli evitando così l’estinzione, ma supportare una popolazione di rinoceronti bianchi in salute, è tutta un’altra storia.
Per evitare il tipico collo di bottiglia genetico, afferma Seet, si sta cercando di sviluppare un secondo approccio, ugualmente difficile, basato sulla ricerca sulle cellule staminali. Usando campioni di pelle proveniente da dodici rinoceronti bianchi settentrionali, i ricercatori sperano di produrre cellule gametiche (cellule di ovuli e di sperma) che possano essere fertilizzate in vitro per creare maggiori diversificazioni genetiche. Gli scienziati giapponesi hanno testato questa tecnica sui topi ottenendo grandi successi e creando un modello che produce nove cuccioli sani.
Data l’urgenza del progetto, gli sforzi per salvare il rinoceronte bianco settentrionali dovrebbero attirare molti fondi. Il consorzio è fiducioso che “il supporto di fondi da compagnie e donatori privati aiuterà nella corsa contro il tempo e darà un contributo fondamentale per salvare la biodiversità e farsi carico della responsabilità ambientale”. Al momento, il consorzio è parzialmente finanziato dal Bmbf, il Ministero dell’educazione e della ricerca tedesco, che include anche una partership con l’Università di Padova il cui Dipartimento di biomedicina comparativa e scienza alimentare partecipa nel progetto con un focus speciale sul bilancio etico e sui programmi educativi.
“Per il prelievo degli ovuli di Naijn e Fatu abbiamo dedicato un’analisi del rischio etico per preparare il team a tutti i possibili scenari di una procedura così ambiziosa e per essere sicuri che il benessere degli animali in questione fosse totalmente rispettato”, dice Barbara de Mori, esperta di conservazione ed etica del benessere animale dell’università di Padova.
Il futuro della conservazione
Questo modello di conservazione potrebbe cambiare la sorte di altri rinoceronti in via d’estinzione come quello di Sumatra o quello di Javan in Indonesia. “Ci sono altre specie che potrebbero beneficiare di queste tecniche, come il rinoceronte di Sumatra, dove non sono ancora stati raggiunti numeri critici come per quello bianco, ma di cui rimangono comunque solo un paio di dozzine di esemplari. Questo dovrebbe essere il momento di raccogliere e conservare materiale genetico” dice Galli. Anche Seet segue lo stesso approccio: “Ho letto di recente una citazione di un mio collega che diceva che gli animali sono come dei libri di testo e noi oggi… stiamo distruggendo la biblioteca della vita”.
Gli sforzi per la conservazione delle specie non dovrebbero cominciare solo quando la sabbia nella clessidra è quasi finita, ma molto prima. L’impatto umano su molte specie animali è troppo elevato, e a meno che non si mitighi il bracconaggio e la perdita di habitat a causa della deforestazione, dei cambiamenti climatici e delle costruzioni umane, nessuna cifra di denaro o progresso scientifico potrà opporsi alla loro estinzione.
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