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Le micro alghe potrebbero reggere bene al riscaldamento globale e all’acidificazione degli oceani. Lo afferma uno studio pubblicato su Nature Climate Change.
Il riscaldamento globale potrebbe non essere un grosso problema per il fitoplancton. Almeno fino al 2100. Sembra essere questo il messaggio dello studio tedesco recentemente pubblicato sulla rivista Nature Climate Change.
La ricerca, condotta da Thorsten Reusch, del GEOMAR Helmholtz-Centre for Ocean Research di Kiel, ha analizzato un particolare tipo di alghe microscopiche che sono in grado di riprodursi molto velocemente, dando vita a circa 500 generazioni all’anno.
La Emiliania huxleyi – questo è il nome dell’alga analizzata – rappresenta la principale fonte di cibo per numerose specie di pesci; secondo lo studio, che ne ha preso in considerazione l’evoluzione, sarebbe in grado di crescere anche a temperature e acidificazione dell’acqua elevate, dimostrando di sopportare bene, per il momento, gli effetti del riscaldamento globale sugli oceani.
“I processi evolutivi dovrebbero essere sempre presi in considerazione quando si cercano di prevedere gli effetti del riscaldamento globale e dell’acidificazione dell’oceano sul fitoplancton”, avvertono i ricercatori.
Gli stessi scienziati, però, sottolineano che si tratta di test di laboratorio, i risultati “sul campo” potrebbero essere differenti; non si è tenuto conto, inoltre, dell’evoluzione delle specie marine più grandi da qui al 2100.
Secondo uno studio dell’anno scorso a cui hanno lavorato 540 esperti, infatti, l’acidificazione dei mari, ossia il graduale scioglimento della CO2 atmosferica in acqua, è da considerare una tempesta silenziosa che mette in pericolo le barriere coralline e gli stock ittici. Dalla ricerca emerge che i mari potrebbero diventare il 170 per cento più acidi rispetto ai livelli antecedenti alla rivoluzione industriale entro il 2100.
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