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Un recente rapporto mostra come i video online emettano a livello globale la stessa quantità di CO2 che la Spagna produce ogni anno. Il 30 per cento di questi sono video porno.
Avete appena pubblicato l’ultima Stories su Instagram, mentre su Youtube stavate ascoltando l’ultima hit dell’estate (che scorderete a breve). Stasera poi c’è l’ultima serie che non potete assolutamente perdere. Un’abitudine forse quotidiana, in cui potremmo riconoscerci in molti. Eppure questa quotidianità ha anch’essa un impatto sulla produzione di emissioni di CO2 e di conseguenza sul clima. Ma quanto incide la nostra vita digitale sul clima? Soprattutto per quanto riguarda i video, ovvero i formati che contengono più dati di tutti?
I video online emettono a livello globale oltre 300 Mt all’anno di CO2, la stessa quantità della Spagna © Sean Gallup/Getty ImagesA calcolarlo è stato The Shift Project, un think tank francese che raggruppa giornalisti, ricercatori e comunicatori, con il rapporto “Climate crisis: The unsustainable use of online video – A practical case study for digital sobriety”: i video online emettono a livello globale oltre 300 Mt all’anno di CO2, la stessa quantità della Spagna. Questo perché i video rappresentano oggi il 60 per cento del flusso di dati globali e di conseguenza sono oggi il principale fattore di emissioni di gas serra.
Ad oggi la tecnologia digitale pesa per il 4 per cento delle emissioni ad effetto serra globali, più di tutta l’aviazione civile messa insieme (che arriva al 2 per cento), e il suo consumo energetico è in aumento del 9 per cento ogni anno. Secondo il rapporto, che si basa su dati reali raccolti da Cisco e Sandvine, 10 ore di video ad alta definizione pesano (in fatto di dati) più di tutti gli articoli in inglese su Wikipedia in formato testo.
Interessante notare che di tutto questo traffico quasi un terzo (il 27 per cento) del traffico di tutto il mondo è rappresentato dal porno online. Presi da soli, nel 2018 hanno generato più di 80 Mt di CO2, vale a dire quasi lo 0,2 per cento delle emissioni globali. Quasi come il Cile. Mentre i vari servizi di video on demand, da Netflix a Youtube passando per Amazon Prime Video hanno generato più di 100 Mt di CO2.
Ovviamente nel rapporto non si parla di smettere di usare questi strumenti. Piuttosto si propone una sorta di “sobrietà digitale”. “Questo rapporto mostra che la maggior parte dei video, che costituisce l’80 per cento del traffico internet, viene usato come intrattenimento o pubblicità: una scoperta che, di fronte all’emergenza climatica, dovrebbe convincerci a mettere in discussione i nostri comportamenti digitali”, dice Hugues Ferreboeuf, project manager al The Shift Project in una nota.
Il gruppo di lavoro pone sì il problema, ma fornisce anche delle soluzioni. “Poiché le opportunità digitali sono preziose, sapere come calibrarle è essenziale per preservare ciò che è utile”, sottolinea l’autore dello studio, Maxime Efoui-Hess. “Essere sobri come società significa anche reinventare i nostri usi in modo che rispettino i vincoli legati al clima. Questo rapporto mostra che possa essere una sfida stimolante”.
The Shift Project ha ad esempio realizzato un componente aggiuntivo da installare su Firefox chiamato “Carbonalyser”, che consente di visualizzare il consumo di elettricità e le emissioni di gas serra derivate dalla navigazione in rete. In questo modo è possibile comprendere l’impatto delle nostre abitudini digitale sui cambiamenti climatici. Il gruppo ha inoltre sviluppato una mini-guida per ridurre il peso (e quindi le emissioni) dei video. Suggerisce così di scaricare il software Handbrake, che aiuta a comprimere i video senza perderne la qualità.
Una sobrietà che significa comunque buon senso. Non solo nei confronti dei nostri consumi, dei trasporti, ma anche delle nostre abitudini digitali. Si possono guardare meno video e magari interagire con gli altri esseri umani.
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