Un compromesso piatto e al ribasso. La Cop30 sul clima ha deluso le aspettative ed è terminata con accuse reciproche tra i governi.
Anche se per la prima volta il risultato lascia spazio a un po’ di speranza grazie a un rallentamento della crescita globale delle emissioni di CO2, nessun paese copre le prime tre posizioni dell’edizione 2014 del Climate change performance index (Ccpi) pubblicato da Germanwatch e dal Climate change network (Can) europeo. Nessun paese, infatti, è ancora sulla strada giusta per
Anche se per la prima volta il risultato lascia spazio a un po’ di speranza grazie a un rallentamento della crescita globale delle emissioni di CO2, nessun paese copre le prime tre posizioni dell’edizione 2014 del Climate change
performance index (Ccpi) pubblicato da Germanwatch e dal Climate change network (Can) europeo. Nessun paese, infatti, è ancora sulla strada giusta per mantenere l’aumento della temperatura media al di sotto dei due gradi centigradi e prevenire gli effetti peggiori del cambiamento climatico.
I migliori secondo l’indice
L’indice è stato presentato durante i negoziati sul clima delle Nazioni Unite in corso a Varsavia, Polonia, fino al 22 novembre. I criteri su cui si basa sono cinque: emissioni di CO2 su base annua, andamento delle emissioni nel tempo, energia rinnovabile, efficienza e politiche climatiche.
Il primo paese è in realtà al quarto posto ed è occupato anche quest’anno dalla Danimarca con un buon distacco dal Regno Unito che è salito dalla decima alla quinta posizione grazie a un taglio delle emissioni del 15 per cento in cinque anni. Al sesto c’è il Portogallo che ne guadagna una.
Italia e Germania
L’Italia guadagna tre posti passando dal 21esimo al 18esimo posto soprattutto grazie al sostegno alle politiche climatiche in campo europeo e al forte sviluppo del settore delle energie rinnovabili. La Germania, invece, non è più nella prime dieci posizioni per la sua opposizione ad alcune proposte sul clima. Il governo di Angela Merkel, infatti, si è opposto alla riforma del sistema europeo di scambio delle emissioni (Eu Ets) per difendere il settore industriale noto per consumare molta energia.
Cina e Stati Uniti
I maggiori produttori di CO2 al mondo, Cina e Stati Uniti, si piazzano rispettivamente al 46esimo e al 43esimo posto. Se la crescita globale delle emissioni ha subito un rallentamento è proprio grazie alla Cina. Il rallentamento della crescita della CO2 cinese è dovuto a un tentativo concreto del governo di Pechino di ridurre la sua dipendenza dal carbone, soprattutto nel settore delle infrastrutture e dei trasporti dove il carbone è arrivato a coprire solo il 27 per cento della domanda (dal 54 per cento dello scorso anno).
Australia e Canada
Questi sono i due paesi, tra quelli industrializzati, che non sembrano volerne sapere di fare qualcosa per contribuire attivamente nella lotta al cambiamento climatico. L’Australia, già nota per la sua forte dipendenza dal carbone, ha addirittura perso sei posizioni passando dal 51esimo al 57esimo posto visto lo stallo in merito alla creazione di un mercato delle emissioni interno. Il Canada, invece, rimane immobile alla posizione numero 58 e non sembra voler alzare un dito nemmeno in futuro. Dopo il Canada solo Iran, Kazakistan e Arabia Saudita.
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