La prima settimana di lavori alla Cop30 di Belém si è conclusa in un’atmosfera fatta di sospensione e di speranza. La presidenza brasiliana sembra intenzionata a non arrendersi e a rompere in qualche misura i protocolli pur di raggiungere dei risultati. Sono stati organizzati infatti numerosi colloqui informali. Il capo di stato della nazione sudamericana, Lula, ha dichiarato da subito a chiare lettere qual è il traguardo: adottare una road map per l’abbandono progressivo delle fonti fossili. E il presidente della Cop30 André Corrêa do Lago ha lanciato un “Mutirão” (una “mobilitazione collettiva”), che prenderà la forma di una riunione a livello ministeriale e dei capi-delegazione proprio all’inizio della seconda settimana
COP30 kicked off today in Belém, Brazil.⁰⁰With climate disasters hitting every country on our planet, bold climate action and global cooperation have never been more crucial. pic.twitter.com/0c8WTNGpVd
Il principale obiettivo della Cop30: una road map per dire addio alle fonti fossili
Si tratta, dunque, del principale elemento sulla cui base di potrà valutare l’efficacia della trentesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite. L’obiettivo è d’altra parte particolarmente ambizioso. Innanzitutto, si tratta di superare l’epoca delle locuzioni anodine che hanno contraddistinto le ultime Cop: dai “phase down” (diminuzione) ai “transitioning away”(allontanamento), mai supportati finora da piani concreti, date, numeri.
In secondo luogo, a Belém si spera di approvare un documento che citi tutte le fonti fossili, indicandole in modo inequivocabile come “l’oggetto” di tutte le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici. Alcune diplomazie di peso, come Francia, Germania, Danimarca e Regno Unito, hanno dichiarato di appoggiare l’iniziativa, che darebbe corpo al Global stocktake approvato alla Cop28 di Dubai. Ma il mondo è ancora fortemente diviso sulla questione.
I governi litigano sul target degli 1,5 gradi centigradi
Può apparire infatti assurdo, e certamente anti-scientifico, ma alla Cop30, così come in troppi governi, non mancano le voci negazioniste (nonostante l’assenza di una delegazione vera e propria degli Stati Uniti) Nei testi provvisori circolati nel corso dei primi sette giorni di lavori, c’è stato perfino chi ha contestato i riferimenti al target che sembrava ormai condiviso a livello internazionale in termini di limitazione del riscaldamento globale: quello degli 1,5 gradi centigradi.
Alla richiesta giunta dall’Alleanza delle piccole nazioni insulari (Aosis) e dell’Alleanza indipendente dell’America Latina e dei Caraibi (Ailac), che hanno chiesto esplicitamente che l’obiettivo sia menzionato, hanno infatti risposto il Gruppo arabo e l’India. Secondo questi ultimi occorre invece fare riferimento all’intero testo dell’Accordo di Parigi: un modo per abbassare l’asticella, poiché esso indica la necessità di rimanere “ben al di sotto dei 2 gradi centigradi” rimanendo “il più possibile vicini agli 1,5 gradi”.
Non a caso, un altro tema di cui si discute molto è quello degli impegni avanzati dai governi di tutto il mondo proprio per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra. La scadenza per l’invio di tali promesse – le Nationally determined contributions (Ndc) – era stata fissata allo scorso 30 settembre ma circa 80 nazioni non l’hanno rispettata. Inoltre, gli impegni attuali comporterebbero una traiettoria ben al di là dei 2 gradi, ammesso che fossero rispettati da tutti e per intero. Per questo le nazioni più vulnerabili della Terra insistono alla Cop30 affinché tutti facciano la loro parte.
Disinformazione, tutela delle foreste e finanza climatica
Degna di rilievo la presa di posizione di tredici governi sulla disinformazione legata al clima. I Paesi in questione (tra i quali figurano Germania, Spagna, Brasile, Canada e Francia) hanno firmato una dichiarazione nella quale si impegnano a promuovere la lotta alle fake news sul riscaldamento climatico. Si tratta della prima volta nella storia delle Cop che viene assunta un’iniziativa del genere, che è stata accolta con grande favore dalla direttrice generale dell’Unesco, Audrey Azoulay.
📢 Landmark declaration on information integrity launched at #COP30! For the first time, information integrity is prioritized at a COP.
The declaration establishes shared international commitments to address climate disinformation.
Altro tema centrale è quello della deforestazione, come ovvio dal momento che la Cop30 si tiene alle porte dell’Amazzonia. Nella prima settimana della conferenza è stata lanciato il fondo Tropical forest forever facility, che punta non più a raccogliere prestiti o donazioni, bensì investimenti nella salvaguardia delle foreste. Un’iniziativa innovativa accolta con favore da molti, ma anche con critiche, poiché di fatto subordina al profitto azioni che dovrebbe, invece, rappresentare una responsabilità collettiva.
Fair and accessible climate finance is the key enabler to turn plans into progress across the world.
Because climate finance is not charity. It is an investment. In jobs, in growth and in resilience.
Infine, la Cop30 deve tentare di portare passi avanti sulla finanza climatica. In particolare, sui trasferimenti di capitali e tecnologie dal Nord al Sud globale, per consentire a quest’ultimo (più colpito ma meno responsabile del riscaldamento climatico) di adattarsi agli impatti, ricevere indennizzi per le perdite e i danni subiti, e fare la propria parte nella transizione ecologica. Si parte dai 300 miliardi di dollari all’anno promessi alla Cop29 di Baku, in Azerbaigian: cifra lontanissima da quanto necessario per contrastare la crisi climatica e difendere persone e infrastrutture.
Nel frattempo, alla Cop30 non sono mancate le proteste, in particolare da parte delle popolazioni indigene. Alcuni manifestanti hanno anche forzato l’ingresso della Blue zone, quella che ospita le delegazioni governative e i negoziatori.
La guerra commerciale e i conflitti armati hanno parzialmente oscurato le numerose e deleterie scelte sul clima di Donald Trump nel suo primo anno del nuovo mandato da presidente.