Per decenni l’energia è stata percepita da tutti noi come qualcosa prodotto in un luogo lontano e che poi arriva nelle nostre case, nelle aziende e nelle strade attraverso una fitta rete di distribuzione. Un servizio, dunque, certamente. Ma non un veicolo di innovazione sociale, di lotta contro le disuguaglianze e di conseguenza, in qualche misura, anche di democrazia. Un cambiamento di paradigma possibile – che si potrebbe definire un’utopia concreta, dal momento che parliamo ormai di una realtà pienamente consolidata nel nostro paese – è rappresentato in questo senso dalle comunità energetiche rinnovabili (Cer).
Un cambiamento di paradigma energetico ma anche culturale
In termini concreti, una Cer è costituita da un sito di produzione di energia – tipicamente da eolico, solare fotovoltaico o idroelettrico – che viene poi condivisa da un certo numero di utenti, direttamente in loco. Si può trattare di un solo impianto o più di uno, nella stessa comunità. Si supera proprio in tal modo il modello tradizionale fatto da grandi impianti di produzione e da lunghe reti di distribuzione. La Cer, inoltre, non può solo produrre e consumare, ma anche accumulare e vendere l’energia elettrica prodotta. E a beneficiarne non sono soltanto privati cittadini che vogliono alimentare le proprie case, garantendo una produzione sostenibile dal punto di vista ambientale, affidabile e a prezzi stabili: possono entrare in una Cer anche associazioni, piccole e medie imprese, cooperative, pubbliche amministrazioni o istituti religiosi.
Il tutto a una sola condizione, che rappresenta un ulteriore cambiamento di paradigma. Stavolta non soltanto tecnico ma culturale: la comunità energetica rinnovabile non deve essere orientata al profitto. Al contrario di ciò che accade con i grandi impianti, l’obiettivo è quello di generare benefici sociali, ambientali ed economici per chi ne fa parte. Contribuendo a sviluppare il territorio avendo cura dell’ambiente circostante e senza alimentare i cambiamenti climatici.
Comunità energetiche: la direttiva “Red II” e il superamento di alcune limitazioni
Il concetto di comunità energetiche rinnovabili è stato introdotto dalla direttiva “Red II” sulla promozione dell’energia da fonti rinnovabili, approvata nel luglio del 2021 e recepita nell’ordinamento italiano nel dicembre dello stesso anno. La normativa ha puntato a sostenere le comunità energetiche anche come elemento di contrasto al forte aumento dei prezzi dell’energia che si era verificato nei mesi precedenti, come confermato dai dati pubblicati dall’Istat.
La direttiva, in particolare, ha eliminato alcune limitazioni allo sviluppo delle comunità energetiche rinnovabili, a partire dal limite di potenza degli impianti, che è passato da 200 chilowatt a 1 megawatt. Si è deciso poi di rimuovere il limite della “cabina secondaria”, che di fatto imponeva la creazione di Cer soltanto tra edifici fisicamente attigui: ora è possibile basarsi invece sulla “cabina primaria” (la cui distribuzione può essere consultata grazie a una mappa interattiva), il che fa sì che abitazioni vicine (dello stesso quartiere) ma non affiancate possono contribuire a creare una stessa comunità energetica. Infine, si è deciso che è possibile includere anche impianti rinnovabili esistenti e non solo di nuova installazione.
Quante comunità energetiche rinnovabili esistono oggi in Italia
Proprio le numerose caratteristiche virtuose delle comunità energetiche rinnovabili hanno spinto i poteri pubblici a erogare degli incentivi economiciper la loro costituzione. È il Gse (Gestore dei servizi energetici) che si occupa di distribuire i finanziamenti, in ragione della produzione degli impianti. Una volta ricevute le somme, la comunità può decidere come utilizzarle. Anche qui con una regola: che l’uso sia sempre a beneficio del territorio e di chi lo abita.
In pochi anni, le Cer hanno riscontrato un notevolissimo successo in Italia. Ad oggi, secondo i dati pubblicati dal Gse e aggiornati al 31 maggio 2025, sono 421 le comunità energetiche presenti su tutto il territorio nazionale. Il totale della potenza installata è di 43mila kW (43 MW).
"#CER e CACER possono crescere in 20 anni per tipologia e numero di impianti e aderenti. Il GSE attraverso un algoritmo, monitora l'energia prodotta e consumata, che calcola mensilmente l’anticipo dell’incentivo e il conguaglio di fine anno" @arrigoni_paolo#GSEpic.twitter.com/mGc4JjiQpu
Gli esempi sono dunque innumerevoli. Come quello della cooperativa Castello a Comacchio, che gestisce oltre 700 appartamenti distribuiti i 24 condomini in provincia di Ferrara. Sui tetti sono stati installati impianti fotovoltaici ed è stata costituita la comunità energetica Castello Green House che consente di rispondere alla domanda di tutte le famiglie residenti.
Dall’Alto Adige alla Sardegna, gli innumerevoli esempi virtuosi
In Alto Adige, a Prato allo Stelvio, la cooperativa E-Werk Prad rappresenta invece un esempio storico, ante litteram, di comunità energetica. La società cominciò distribuendo energia elettrica nel paese in provincia di Bolzano già più di venti anni fa e oggi utilizza quattro centrali idroelettriche e quattro cogeneratori. Fornendo non solo energia elettrica ma anche acqua calda da fonti rinnovabili, sia alle famiglie che alle imprese del territorio, sia in estate che in inverno. La comunità energetica permette inoltre di garantire un risparmio notevole (fino al 40 per cento) agli utenti in termini di bollette, rispetto alla media nazionale.
Similmente, tra ulivi secolari e macchia mediterranea di Ussaramanna (500 abitanti), nella Sardegna meridionale, è nata una delle prime Cer d’Italia. L’amministrazione comunale ha puntato nel 2021 sulla comunità energetica come strumento di lotta alla povertà energetica e ha realizzato due impianti fotovoltaici: uno da 11 kW sul tetto del municipio, e uno da 60 kW sulla copertura del Centro di aggregazione sociale, con 61 soci e socie.
Quello delle comunità energetiche, insomma, è un modello virtuoso da tutti i punti di vista, sostanzialmente privo di controindicazioni. Un loro sviluppo ampio necessita però di investimenti, di normative ben strutturate e della volontà politica di superare definitivamente l’era dei combustibili fossili.
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