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Grandi opere danno un’aura di modernità ai paesi in via di sviluppo. Ma in realtà nascondono storie di violazioni di diritti, come lo spostamento forzato.
Grandi opere realizzate da governi, spesso con la partecipazione di organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale, causano lo spostamento forzato di innumerevoli comunità locali in paesi in via di sviluppo. Questi progetti vengono valutati in base ai loro fini più immediati, senza tener conto delle loro conseguenze a lungo termine. Tra cui, troppo spesso, c’è lo spostamento forzato, anche violento, di comunità locali, che perdono le loro case e i loro mezzi per sostenersi.
Questo lo dimostra il rapporto di International Accountability Project (Iap), Back to Development: A Call For What Development Could Be. L’organizzazione che si batte contro lo spostamento forzato delle persone a causa di progetti di sviluppo ha intervistato 800 persone in otto paesi di Asia, Africa ed America Latina, tutte soggette a progetti infrastrutturali compiuti dai loro rispettivi governi.
L’84 per cento degli intervistati sono stati costretti ad abbandonare le proprie case a causa dei progetti, o lo saranno a breve. L’88 per cento dice di non essere stato consultato durante la fase di elaborazione benché i progetti minaccino o siano stati il motivo del loro sfratto. La soluzione al problema dello spostamento forzato sarebbe di creare modelli di sviluppo incentrati sul miglioramento della qualità della vita ed il rispetto dei diritti umani. Solo le comunità locali stesse possono essere la fonte di questo cambiamento paradigmatico, dice Iap.
Giudicati in base ai loro fini più miopi, tutte e otto le grandi opere esaminate nel rapporto risplendono di un’aura di progresso. Al di là delle apparenze, però, sono stati violati i diritti delle comunità. Costruzioni nelle Filippine per incrementare la capacità di resistere a un tifone, come Haiyan nel 2013, una diga per produrre elettricità a Panama, la costruzione di una centrale solare in Egitto: progetti accomunati da un impulso di modernizzazione e dal fatto che causeranno o hanno causato lo spostamento di migliaia di persone, le cui volontà non sono state prese in considerazione.
Molto spesso le persone sfrattate sono indigeni senza riconoscimento ufficiale del loro vincolo al territorio o persone povere, spesso senza diritti di proprietà su terre che abitano da generazioni. Il rapporto Iap ha inoltre rivelato che i programmi di compensazione e reinsediamento sono di norma inadeguati o inesistenti. Il 63 per cento delle 800 persone intervistate non ha ricevuto alcuna compensazione. Il 91 per cento dice di non aver beneficiato di alcun programma di assistenza dopo lo spostamento forzato.
Dati come questi hanno costretto il presidente della Banca Mondiale, Jim Yong Kim, ad ammettere pubblicamente che la Banca non sa quante persone siano state forzate a lasciare le proprie terre a causa dei suoi progetti, o che cosa ne sia stato di molte di loro.
Le storie delle 800 persone intervistate da Iap fanno riflettere su cosa vuol dire lo sviluppo per chi è soggetto ad interventi compiuti in suo nome. È ora che le istituzioni riconoscano le comunità locali come autrici e non vittime del proprio destino.
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