Covid-19

Cosa sta succedendo in Spagna, il paese che potrebbe diventare il nuovo epicentro del coronavirus

Dopo l’Italia, anche la Spagna ha superato la Cina per numero di vittime a causa del coronavirus. Ed è il secondo paese in Europa per numero di contagi. Un punto sui numeri e le misure, su come si è arrivati fin qui e le previsioni nel paese iberico.

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Quando sono iniziate ad arrivare le foto del polo fieristico Ifema di Madrid, svuotato e riallestito con file di letti pronti ad ospitare i pazienti contagiati da coronavirus (Covid-19), la nostra mente non ha potuto che fare un salto indietro allo scorso dicembre. Proprio in quel posto, in quei padiglioni, in quei corridoi che noi stessi abbiamo percorso, allora si dibatteva, e lottava, per un’emergenza che minaccia tutta l’umanità: il clima. Ifema, infatti, aveva ospitato la 25esima conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (Cop 25), prestando aiuto al Cile – paese ospitante – che ha dovuto annullare l’evento a causa dell’emergenza e delle rivolte sociali che stava attraversando.

Oggi sempre Madrid, sempre Ifema, si trovano a contribuire ad affrontare un’altra battaglia che sta affliggendo il mondo: quella contro il coronavirus.

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Ifema Madrid, ospedale coronavirus
La comunità di Madrid e l’Unità militare di emergenza spagnola (Ume) hanno installato un ospedale con 5.500 letti e un’unità di terapia intensiva nel polo fieristico Ifema di Madrid per curare i contagiati da Covid-19 © Comunidad de Madrid/Getty Images

La Spagna supera la Cina per numero di decessi

La pandemia che sta colpendo quasi 200 paesi in tutto il mondo, disconoscendo confini e distanze, ha ormai il suo epicentro in Europa, con l’Italia come primo paese in questa crisi, seguito ora dalla Spagna. È infatti del 25 marzo la notizia che anche il paese iberico ha superato la Cina per numero di decessi, registrando in quella giornata 738 morti, portando il totale a 3.475, per poi superare i 4.000 solo dopo ventiquattro ore, il 26 marzo, giorno in cui si è anche registrato però il primo calo del numero di vittime nell’arco di una settimana. Un calo già offuscato da una nuova crescita di decessi, che ha raggiunto il nuovo numero più alto in un giorno dall’inizio della crisi il 27 marzo: 769 (in Italia il massimo è stato 793).

Siamo ancora in una fase di crescita dell’impatto del virus e questo durerà ancora del tempo.Pere Godoy, presidente della società spagnola di epidemiologia (See)

“Siamo ancora in una fase di crescita dell’impatto del virus e questo durerà ancora del tempo”, ha affermato Pere Godoy, presidente della società spagnola di epidemiologia (See). La Spagna, in questo senso, ha attuato misure di contenimento restrittive simili a quelle dell’Italia solo da poco più di una settimana e nei giorni scorsi ha registrato tassi di crescita dei contagi e dei conseguenti decessi in modo esponenziale, ancor più che in Italia.

Infatti, come riporta il quotidiano spagnolo El País, lunedì 23 marzo la Spagna ha registrato il primo più alto incremento in 24 ore del numero decessi a causa del coronavirus: 462, portando il totale a 2.182. Questo significa che dai 1.000 decessi registrati al 20 marzo, il paese ha impiegato solo tre giorni a raddoppiare la cifra. Un andamento che non si è registrato né in Cina e neanche in Italia (che ci ha messo quattro giorni a raddoppiare i primi mille). Il primo giorno di quarantena, il 14 marzo, il paese registrava 6.332 casi di contagio, al 25 marzo erano 47.610, al 27 sono 57.627. Cifre esponenziali che hanno portato il governo a prendere la decisione di ampliare le misure restrittive di quarantena fino al 12 aprile.

Il governo spagnolo sta valutando di ampliare le misure di contenimento del Covid-19 fino all'11 aprile
Il governo spagnolo sta valutando di ampliare le misure di contenimento del Covid-19 fino all’11 aprile © Pablo Blazquez Dominguez/Getty Images

Storia di una crisi

La quarantena in suolo spagnolo è stata imposta ufficialmente dal 14 marzo, ma i primi contagi risalgono a tempo prima. Il primo caso ufficiale di Covid-19 in Spagna è stato infatti registrato il 31 gennaio. Si trattava di un turista tedesco che si trovava in una delle isole Canarie – La Gomera – e che era stato precedentemente in Cina. Per questo è stato classificato come caso “importato”, esattamente come il secondo caso di un turista britannico a Palma de Mallorca il 9 febbraio che arrivava dalla Francia. In maniera simile, verso la fine di febbraio sono iniziati a comparire altri casi – dichiarati provenienti dall’Italia – a Tenerife, a Valencia e a Madrid.

Il 28 febbraio, però, si sono registrati i primi casi di origine sconosciuta a Madrid e in Andalusia, il primo segno che il virus si stava facendo strada nel paese in maniera incontrollata. Con l’arrivo di marzo, e complice il tempo primaverile, la vita in Spagna è continuata come sempre. Mentre in Italia entrava in vigore la “chiusura” del paese l’8 marzo, migliaia di spagnoli e spagnole invadevano le piazze e le strade per la storica manifestazione a favore delle donne, conosciuta come 8-M. Un successo per la causa, ma una conferma che il paese stava sottovalutando il pericolo sanitario imminente. Per dirla in cifre: il 1 marzo c’erano 83 casi, l’8 marzo 589 casi, il 9 marzo 1.231 – più del doppio in un giorno. Motivo per cui la magistrata Carmen Rodríguez-Medel ha affermato di voler aprire un procedimento giudiziario contro il delegato del governo della comunità di Madrid José Manuel Franco per aver permesso la celebrazione di eventi pubblici nella regione, nonostante il centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie chiedesse di annullarli.

Incidenza del coronavirus nelle regioni spagnole
L’intensità di colore mostra l’incidenza accumulata negli ultimi 14 giorni nelle regioni spagnole © Rtve

Il 9 marzo, la comunità autonoma di Madrid ha dichiarato la chiusura delle scuole per 15 giorni, seguita poi dalle regioni dei Paesi Baschi, Rioja e Aragona, mentre il governo cancellava tutti i voli che dall’Italia arrivavano nel paese. Eppure, nessun’altra restrizione a luoghi pubblici e di aggregazione, come bar e ristoranti, era stata presa. Alla fine il 13 marzo, con 4.200 casi e 120 decessi in tutto il paese, il governo ha annunciato lo stato di allarme – la seconda volta nella storia democratica del paese (la prima nel 2010 durante lo sciopero dei controllori aerei) – per prendere misure straordinarie e far fronte a quella che l’Oms ha dichiarato, già l’11 marzo, pandemia.

Dal 14 sono in vigore misure dure, e il loro impatto si vedrà nei prossimi giorni.Fernando Simón

Sapevamo quello che stava arrivando

Con lo stato di allarme, in maniera simile all’Italia, il governo ha decretato la limitazione del movimento di persone, a cui è permesso uscire solo in caso di necessità, la chiusura degli esercizi a eccezione di quelli di beni essenziali, la sospensione del trattato di Schengen. Anche la Spagna è quindi ora formalmente chiusa, con i suoi oltre 47 milioni di abitanti nelle proprie case.

“Io, come altri italiani, già sapevo che sarebbe arrivata”, ci racconta Carlotta, un’italiana di 28 anni residente a Barcellona. “Andavo al lavoro a piedi, evitavo di prendere i mezzi pubblici, facevo smart working quando potevo. Però vedevo gli altri tranquilli, tutti in giro, nessuno era cosciente di quello che stava succedendo. Si sentiva parlare molto dell’Italia, come se fosse qualcosa di lontano. Ma nessuno capiva che era un problema comune a tutti. E ancora per molti non è chiara la situazione e il pericolo. E soprattutto oggi, che quasi tutti abbiamo accesso ai mezzi di comunicazione, siamo connessi con i social media, non capisco come sia possibile ciò”.

Nessuno capiva che era un problema comune a tutti.Carlotta, residente a Barcellona
Coronavirus a Barcellona
Alcune persone si uniscono al flash mob applaudendo per ringraziare chi sta lavorando per contenere il coronavirus. Barcellona, Spagna © David Ramos

“La situazione era frustrante. Anche andare al lavoro. C’è una pandemia in corso e si continuava a parlare di andare in ufficio”, continua Carlotta. “Era difficile da spiegare agli altri. Non capivo perché, ma era frustrante”. Una domanda che infatti ci si chiede è come mai non si è studiata la situazione critica ormai arrivata in Europa, e giocato d’anticipo sulla prevenzione e sull’informazione, in un paese tradizionalmente caratterizzato da una cultura di grande socialità. “Hanno iniziato a prendere precauzioni quando la situazione era arrivata già a livelli preoccupanti, ma avrebbero potuto farlo prima considerando l’Italia. Questo è stato il vero sbaglio, non prendere l’Italia e i suoi errori come esempio“.

Questo è stato il vero sbaglio, non prendere l’Italia e i suoi errori come esempio.Carlotta, residente a Barcellona

Il tempo della Spagna

Il futuro della Spagna, come di tutti i paesi che si trovano ad affrontare questa situazione d’emergenza, è legato ai numeri, legati a loro volta all’efficacia delle misure in atto. La Spagna, al momento, rimane il paese in cui il virus si è diffuso più velocemente, un trend che rispecchia anche gli ultimi dati dell’Oms che mostrano come la velocità di propagazione a livello globale sia aumentata: per arrivare ai primi 100mila casi in tutto il mondo sono passati 67 giorni, per raddoppiare la cifra solo quattro.

Oltre 47 milioni di cittadini spagnoli sono confinati nelle proprie case dal 14 marzo come contenimento della diffusione del coronavirus
Oltre 47 milioni di cittadini spagnoli sono confinati nelle proprie case dal 14 marzo come contenimento della diffusione del coronavirus © Carlos Alvarez/Getty Images

Il fattore che gioca un ruolo fondamentale è il tempo. Il tempo d’anticipo con cui si dà il via alle misure preventive e di contenimento, e il tempo di mantenimento per bloccare la propagazione del virus e permettere ai sistemi sanitari di affrontare la crisi e farla terminare il prima possibile. In questo senso, i dati mostrano come probabilmente di tempo, per la Spagna, ne sia passato troppo prima di agire. Infatti, nel paese i decessi vengono registrati in nuove regioni – a differenza ad esempio dell’Italia dove l’80 per cento dei decessi continuano a concentrarsi nelle stesse regioni del nord più colpite. “In Italia si è ridotta maggiormente la mobilità intorno ai primi focolai, mentre in Spagna è rimasta molto elevata anche nei giorni precedenti alla dichiarazione dello stato d’allarme”, conferma Daniel López Acuña, professore associato della Scuola andalusa di salute pubblica ed ex direttore dell’azione sanitaria nelle crisi dell’Oms.

Come in Italia, anche in Spagna un dato positivo si registra con l’aumento delle persone guarite che hanno superato il 12 per cento dei casi, passando dai 5.367 guariti del 25 marzo agli oltre 9.000 il 27 marzo, con oltre 3.000 persone però ancora in terapia intensiva. Seppur numeri importanti e di buon auspicio, manca ancora tempo per vedere la curva di contagi e dei morti abbassarsi in modo significativo, per questo più importanti che mai sono le misure imposte e il rispetto dell’individuo nell’adempierle. “Ci troviamo nella settimana più dura“, conclude Fernando Simón, direttore del Centro di coordinamento delle emergenze sanitarie del Ministero della salute spagnolo. “Ed è la stessa che permetterà che la pressione sul sistema di assistenza non sia eccessiva. Perché anche se si crede di poter arrivare al picco di contagi in tempi relativamente brevi, quel numero non significa che i pronto soccorso e le terapie intensive saranno alleggerite”.

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