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Un seme di cotone è riuscito a germogliare sulla Luna. Ecco che cosa gli è successo e perché è così importante per gli astronauti.
La prima forma di vita nata su un altro corpo celeste del Sistema solare non ha avuto molta fortuna: il seme di cotone germogliato nella mini-serra ospitata dalla sonda cinese Chang’e 4 non ha resistito al freddo impervio della notte lunare (quando le temperature possono scendere ben oltre i 50 gradi sotto lo zero) ed è congelato in poche ore. Quello che può sembrare un esperimento non riuscito, rivela interessanti scenari rispetto agli obiettivi di studio su come ottimizzare il riciclo dei materiali durante le missioni spaziali e sull’autoproduzione della vita fuori dal pianeta Terra.
L’obiettivo è ambizioso: permettere alle future generazioni di astronauti di procurarsi cibo e ossigeno direttamente dalle colonie di insediamento lunari o marziane. Quanto siamo ancora distanti dalla possibilità effettiva di avere vere e proprie coltivazioni per il consumo umano è campo di studio di Gabriele Mascetti, responsabile dell’Unità di volo umano spaziale per l’Agenzia spaziale italiana (Asi).
China’s Chang’e 4 has concluded its biological experiment on the moon, according to the China National Space Administration. The organisms carried by the probe will gradually decompose in a totally enclosed canister, and will not affect the lunar environment, said the CNSA. pic.twitter.com/ThRsHxoCLY
— People’s Daily, China (@PDChina) 18 gennaio 2019
“La notizia del seme di cotone germogliato durante la missione cinese – premette Mascetti – rivela come sia importante raggiungere livelli sempre più importanti di riciclo dei materiali a bordo e di autoproduzione della vita. Lanciare un rover o una sonda è diverso da assicurare la fattibilità di una missione umana: ogni essere umano necessita di circa 30 chilogrammi di materia al giorno per sopravvivere (acqua e aria in primis) e ad oggi occorrerebbero risorse incredibili per ipotizzare una missione umana su Marte, ad esempio, che richiede tempi lunghi di percorso – circa 6 mesi per raggiungere Marte dalla Terra con le tecnologie attuali – e dunque provviste sia per il viaggio che per la permanenza sul suolo marziano”.
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Non è solo una questione di quantità, ma anche di conservazione dei cibi. “Occorre, infatti, superare il limite della deperibilità degli alimenti e garantirne la corretta conservazione in un ambiente esposto alle radiazioni cosmiche. Ad oggi sulla Stazione spaziale internazionale (Iss) siamo in grado di recuperare circa il 90 per cento di acqua a bordo, ma in vista di missioni più lontane dovremmo porci l’obiettivo di raggiungere la quasi totalità del recupero: anche per questo la grande sfida è produrre alimenti e reperire ossigeno in loco”.
I semi di cotone portati sulla faccia nascosta della Luna dall’Agenzia spaziale cinese non sono i primi vegetali oggetto di esperimenti. Sulla Stazione spaziale internazionale esiste un apparato europeo per la crescita vegetale: “Abbiamo mandato con Paolo Nespoli una piantina per studiarne il comportamento in assenza di gravità: anche a terra sono condotti esperimenti di crescita in condizioni di microgravità simulate, ottenute esponendo la pianta a continue variazioni dell’asse verticale. Con queste attività si cerca anche di distinguere quanto lo stimolo luminoso, la presenza di sali nel terreno o altri fattori influiscano sulla crescita. Ad ora, però, possiamo dire che l’obiettivo è puramente dimostrativo, siamo lontani dal poter coltivare vegetali per un uso alimentare rispondente al bisogno”.
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Quanto si studia per migliorare l’adattabilità delle coltivazioni in assenza di gravità può rivelarsi un approccio per portare nuove idee in agricoltura a condizioni estreme? Il progetto HortExtreme, che vede l’Italia in prima linea grazie alla collaborazione tra Asi e l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie e lo sviluppo sostenibile (Enea), non soltanto ambisce a “progettare” l’orto marziano che verrà, ma si prospetta di suggerire soluzioni per la coltivazione in casa o in spazi ristretti di piante ad uso alimentare.
“In strutture grandi come forni da cucina è possibile coltivare piante di vario genere in soluzioni di acqua e sali – continua Mascetti – con l’obiettivo di ottenere ambienti controllati e non contaminati ottimizzando l’utilizzo dell’acqua e modulando in ottica di risparmio energetico l’esposizione necessaria per la germogliazione. Questo sistema, inoltre, non richiede l’utilizzo di pesticidi. Soluzioni di questo tipo sono associabili ai progetti di Vertical farming, che permettono di moltiplicare le zone di produzione e coltivazione garantendo qualità e riduzione degli sprechi”.
Dalle scienze aerospaziali, dunque, il gancio per prospettare nuove soluzioni e garantire qui sul nostro pianeta autosufficienza e sostentamento alimentare in condizioni – anche climatiche – estreme. Una strada insolita, ma non per questo meno stimolante da intraprendere.
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