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Un crowdfunding per la Casa degli artisti di Milano, dove l’arte è un bene comune
A Milano c’è l’unica residenza pubblica in Italia dedicata agli artisti. La pandemia l’ha messa a dura prova, ma possiamo tutti contribuire a tenerla viva.
Non tutti sanno che a Milano c’è una Casa degli artisti. È l’unica residenza pubblica in Italia dedicata a musicisti, attori, performer, videomaker; insomma, a chiunque abbia fatto dell’arte il suo lavoro. Se non tutti lo sanno è perché, proprio quando era appena stata restituita alla città, si è dovuta forzatamente fermare a causa della pandemia. Ecco perché ora chiede il nostro aiuto per continuare a vivere, con una campagna crowdfunding sulla piattaforma Produzioni dal basso.
La storia della Casa degli artisti
È il 1909 quando due imprenditori milanesi, i fratelli Bogani, si lanciano in un’iniziativa di mecenatismo puro. Invece di limitarsi a finanziare le opere degli artisti, con la Casa degli artisti danno vita a un luogo che renda possibile il loro stesso lavoro. Divenuta un centro nevralgico della vita culturale milanese, la Casa viene poi rilevata dall’amministrazione pubblica che, dopo averla ristrutturata, apre un bando per scegliere un progetto di gestione. Ad aggiudicarselo sono cinque realtà no-profit (Zona K, That’s contemporary, Atelier spazio Xpo’, Nic Nuove imprese culturali e Centro Itard Lombardia, con Future Fond come partner esterno) che mettono a disposizione un team di undici professionisti con esperienze e competenze molto varie.
Siamo arrivati al 1° febbraio 2020, il giorno della festa di inaugurazione. Tutto sembra andare per il meglio. Il programma culturale è stato messo a punto e sono già state attivate residenze di 17 artisti, invitati direttamente dalla gestione oppure selezionati attraverso una open call pubblicata sul sito. Prima ancora dell’apertura ufficiale, il cantautore Brunori Sas sceglie proprio la Casa per comporre, finalizzare e poi presentare il suo disco Cip!. Il pluripremiato collettivo teatrale tedesco Rimini Protokoll viene coinvolto per un progetto corale fianco a fianco con cinque giovani talenti milanesi. Il 21 febbraio, però, all’ospedale di Codogno viene registrato il primo caso di Covid-19 in Italia. Ben presto la Casa degli artisti è costretta a serrare le sue porte.
Perché una campagna crowdfunding
“In questo preciso momento possiamo proseguire le attività all’interno dei nostri laboratori ma è vietato l’accesso al pubblico”, spiega a LifeGate uno dei soci, Francesco Piccolomini. Questo è un grosso limite, visto che la Casa degli artisti è per natura un luogo di contaminazione. Contaminazione innanzitutto tra gli artisti stessi, affermati ed emergenti: “Mentre è impegnato nel suo progetto personale, l’artista ne incontra altri e si confronta costantemente con loro. Inoltre, ci sono anche progetti corali e collettivi la cui premessa è proprio quella di lavorare assieme”, gli fa eco Valentina Kastlunger, anche lei socia in rappresentanza dell’associazione Zona K.
Ma la contaminazione, in senso più vasto, è anche tra gli artisti e il pubblico che partecipa agli eventi, visita le esposizioni, frequenta il bistrot. E con le aziende. “Oltre a coprire in prima persona alcune spese degli artisti, soprattutto per i talenti in arrivo da fuori Milano, il nostro modello cerca di intercettare una nuova committenza. Vogliamo far capire alle aziende che, se investiranno nell’arte, otterranno un ritorno in termini di branding. Qui trovano tutte le competenze capaci di costruire per loro un progetto creativo ad hoc e seguirlo dall’inizio alla fine”, continua Piccolomini.
Va da sé che, senza il pubblico e la visibilità che ne consegue, non si siano concretizzati neanche gli introiti che erano stati prospettati prima della pandemia. Intanto restano da sostenere i costi di gestione di un edificio da 1.300 metri quadri. Da qui l’idea di un crowdfunding a cui ciascuno di noi può contribuire con una piccola donazione. Una campagna che serve in parte per prendere respiro, in parte per ribadire che spazi come la Casa degli artisti sono un patrimonio di cui la città ha un grande bisogno.
L’arte è un bene comune
“L’arte, anche quella prodotta dagli artisti più introversi, ha bisogno di spettatori, ascoltatori, fruitori, committenti, acquirenti. La collettività è quindi parte del meccanismo con cui l’artista si approccia alla creazione di un’opera”. Con questa presa di posizione, la Casa degli artisti ci ricorda che l’arte è un bene comune, un valore fondante di cui la comunità non può fare a meno per considerarsi tale. Dimenticare l’arte sarebbe come dimenticare la socialità, la religione, il cibo.
Soffermarsi su questo principio diventa urgente soprattutto durante una pandemia in cui musicisti, attori e artisti figurativi sono stati subito derubricati a lavoratori non essenziali. In questo senso, non è casuale leggere il nome del noto giuslavorista Pietro Ichino all’interno del comitato scientifico. “A prescindere dal coronavirus, vogliamo ribadire che l’arte è un lavoro, ci sono persone che vivono di questo e vanno tutelate”, conclude Valentina Kastlunger.
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