Mari e oceani

Desarc-Maresanus, la scommessa tecnologica tutta italiana che vuole salvare il clima e gli oceani

Rimuovere CO2 dall’atmosfera e contrastare l’acidificazione dei mari: sono i due obiettivi del progetto scientifico e ingegneristico Desarc-Maresanus.

Si chiama Ellisolandia elongata, o più semplicemente corallina comune, ed è tra gli inquilini più preziosi dei fondali del mar Mediterraneo. Le ramificazioni di questa piccola alga calcarea di colore rosato, che arriva a un’altezza di una decina di centimetri, sono l’habitat di crostacei, molluschi e stelle marine, e il nascondiglio ideale dove deporre le uova. In poche parole, un’“oasi di biodiversità”.

Ma cosa accadrà se, come paventa il Panel intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc), entro la fine del secolo le temperature medie globali saliranno di tre gradi centigradi e il pH del mare si abbasserà di 0,3 punti? Per dare una risposta, un team di ricercatori italiani e inglesi ha ricreato queste condizioni per tre mesi in acquario. I risultati, descritti nelle pagine della rivista Frontiers in marine science, sono desolanti: la corallina comune cresce più lentamente e la fauna che la abita si impoverisce in quantità e in varietà. Con potenziali ripercussioni sull’intera catena alimentare.

Questo è soltanto uno tra gli innumerevoli esempi di cosa comportino due fenomeni diversi ma interrelati, l’acidificazione degli oceani e il riscaldamento globale. Un possibile metodo per affrontarli entrambi arriva da un progetto scientifico e ingegneristico tutto italiano, Desarc-Maresanus.

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Secondo un recente studio scientifico, la corallina comune (Ellisolandia elongata) rischia di subire le conseguenze del riscaldamento globale e dell’acidificazione degli oceani © Rúdisicyon / Wikimedia Commons

Il gemello nascosto del riscaldamento globale

L’acidificazione degli oceani è soprannominata il “gemello nascosto” del riscaldamento globale. L’origine infatti è sempre la stessa, cioè il rilascio di quantità record di CO2 dovuto alle attività antropiche, prima fra tutte la combustione di carbone, petrolio,  e gas. Circa il 45 per cento delle emissioni di questo gas serra avvenute negli ultimi 100 anni sono ancora presenti nell’atmosfera; la quota restante è stata assorbita dalle foreste e, per circa il 30 per cento, dalle acque. Qui diventa acido carbonico che abbassa il pH.

È un’emergenza ambientale insidiosa perché non si vede a occhio nudo come un cumulo di rifiuti galleggianti, e perché si sviluppa con tempistiche molto lente. Ma va affrontata in fretta per due motivi, avverte Stefano Caserini, ingegnere ambientale e docente di Cambiamenti climatici presso il Politecnico di Milano. Il primo: secondo l’Ipcc, la variazione dell’acidità degli oceani a cui stiamo assistendo non ha paragoni con gli ultimi 65 milioni di anni. Il secondo: a danni fatti, i tempi di recupero non si misurano in anni o in decenni, bensì in millenni. “Generalmente in campo ambientale ci occupiamo del qui e ora”, spiega il professor Caserini a LifeGate. “Invece dobbiamo dedicarci, almeno in termini di ricerca e sviluppo, anche a problemi che non sono immediati. Altrimenti rischiamo di trovarci già in ritardo”.

Desarc-Maresanus, un progetto pionieristico

Da qui Desarc-Maresanus, il pionieristico progetto coordinato dal professor Caserini, che vede impegnati il Politecnico di Milano e la fondazione Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), ha ricevuto il sostegno finanziario di Amundi e collabora alla ricerca CO2Apps. L’idea è quella di spargere in mare dalle navi sostanze alcaline che aumentino il pH delle acque e migliorino la loro capacità di assorbire CO2. La sostanza scelta è l’idrossido di calcio, anche noto come calce spenta. Il banco di prova è il Mediterraneo, su cui esistono modelli molto dettagliati elaborati dal Cmcc. Sono già stati pubblicati alcuni studi scientifici sui risultati attesi; altri sono in fase di stesura o di revisione.

Ma da dove arriva l’idrossido di calcio? Qui sta il secondo pilastro del progetto Desarc-Maresanus. La calce viva è il risultato della cottura del calcare, un processo che libera nell’aria CO2, e poi viene spenta con l’acqua. L’idea è quella di produrla da fonti rinnovabili oppure utilizzando le biomasse e separare idrogeno e CO2. Il primo viene impiegato come fonte di energia decarbonizzata, la seconda viene immagazzinata per evitare che contribuisca al riscaldamento globale. Tra i compiti degli scienziati c’è anche quello di valutare il metodo più adatto; ad oggi, per esempio, gli impianti che stoccano la CO2 sotto terra sono circa una trentina nel mondo.

La data di nascita ufficiale di Desarc-Maresanus è il 2019, anche se gli studi preliminari erano stati avviati l’anno precedente. Al momento i ricercatori sono nel pieno delle elaborazioni modellistiche e delle analisi sul ciclo di vita. Semplificando, fanno un bilancio di costi e benefici (ambientali ed economici) delle varie operazioni previste, per capire se ne valga la pena. “Terminata questa fase di valutazioni tecniche, dovremo cercare di mettere a punto un impianto pilota per la produzione di idrossido di calcio che poi potrà essere realizzato su scala commerciale”, continua il professor Caserini.

Non basta emettere meno CO2, dobbiamo anche rimuoverla

L’Ipcc è stato molto chiaro: se vogliamo contenere l’aumento delle temperature globali entro gli 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali, dobbiamo azzerare le emissioni nette globali entro il 2050. Si tratta di una transizione epocale che coinvolge l’agricoltura, i trasporti, le costruzioni e l’industria, e che ci impone di ricavare almeno il 70-85 per cento dell’energia dalle fonti rinnovabili, si legge nel rapporto Sr15.

“Prima di tutto dobbiamo ridurre almeno del 90 per cento le emissioni in atmosfera. La piccola quota rimanente va compensata con le emissioni negative”, precisa il professor Caserini. Le foreste sono e resteranno nostre preziose alleate ma sono sempre meno efficaci nell’assorbire CO2 e potranno espandersi solo fino a un certo limite, visto che il territorio serve anche per sfamare la popolazione. Diventa quindi imprescindibile ricorrere ad altri sistemi, fra cui tecnologie dedicate. Purché non diventino un alibi: “Non possiamo certo andare avanti con carbone, petrolio e gas, con la scusa che tanto le emissioni possono essere rimosse”.

Chiaramente entra in gioco anche un fattore economico. Dalle prime valutazioni, i costi della rimozione di una tonnellata di CO2 col processo studiato da Desarc-Maresanus si aggirano al di sotto dei 100 euro per tonnellata di CO2 rimossa. Senza dubbio sono alti, sostiene il professor Caserini, ma sono competitivi rispetto agli altri sistemi esistenti. E destinati a calare nell’arco di dieci o vent’anni, visto che lo sviluppo tecnologico andrà avanti e, auspicabilmente, non si tratterà più di un prototipo ma di un sistema applicato su vasta scala. “Quello dei costi secondo me non è il problema principale”, conclude. “Soprattutto se lo mettiamo a paragone con i danni dei cambiamenti climatici e dell’acidificazione degli oceani”. Insomma, ci sono tutte le ragioni per continuare a lavorare a testa bassa su analisi, modelli e simulazioni. “Non è facile, ma anche questa opzione merita di essere studiata e sviluppata”.

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