Editoriale

La grande bellezza dello squalo, oceano di biodiversità

Quando il superpredatore diventa preda, l’ecosistema traballa e tutti abbiamo da perderci. Quali equilibri si nascondono dietro l’immagine dello squalo.

Partiamo proprio dal primo punto fondamentale: dietro lo squalo si spalanca un mondo fatto da circa 500 specie – per quello che oggi conosciamo – di pesci cartilaginei che nei loro oltre 400 milioni di anni di storia evolutiva hanno conquistato tutti i mari del mondo (con qualche specie che ha sviluppato adattabilità alle acque dolci): dall’Artico fino all’Antartide, dalla superficie fino a mediamente i duemila metri di profondità, con picchi fino ai 3.700 metri di profondità che definiscono la shark zone, si pensi allo squalo portoghese Centroscymnus coelolepis.

squalo balena
Squalo balena (Rhincodon typus) appena sotto la superficie delle acque di Djibouti © Emilio Mancuso, Istituto per gli studi sul mare

In questo oceano di biodiversità abbiamo il pesce più grande del mondo: lo squalo balena Rhincodon typus, con i suoi dodici-quattordici metri di lunghezza; il secondo pesce più grande del mondo: lo squalo elefante Cetorhinus maximus, che vive anche nel Mediterraneo, e può raggiungere gli otto-dieci metri di lunghezza; fino ad arrivare allo squalo lanterna nano Etmopterus perryi, che al massimo del suo splendore misura venti centimetri. E pensare che l’unico che manca all’appello è proprio il più famoso, quello che terrorizza i sogni di generazioni di bagnanti: Lo Squalo, quello di Spielberg. Ideato per apparire quanto più grande, grosso, brutto e cattivo possibile, mescola caratteristiche di differenti specie, barando un po’ sulle dimensioni e diventando un vero e proprio mostro “da paura”.

La lunghissima storia evolutiva e le tante peculiarità biologiche rendono questi organismi dei meravigliosi esempi di adattamento all’ambiente in cui si trovano, nel quale hanno assunto un ruolo ecologicamente fondamentale: quello del predatore di vertice.

Squali, predatori di vertice

Superpredatori, top-predator, predatori apicali… chiamateli come volete, il ruolo è quello: ovunque si trovino, gli squali sono in cima alle reti alimentari e se non sono nel punto più alto è solo perché un’altra specie di squalo è sopra di loro. Si tratta di un ruolo chiave e molto pericoloso. Essere predatori apicali vuol dire dover sempre fare i conti col bilancio energetico, dovendo puntare al massimo dell’efficienza: tutta l’energia investita per catturare la preda deve essere minore dell’energia fornita dalla preda stessa. Essere predatori apicali vuol dire essere regolatori degli interi ecosistemi nei quali gli squali si trovano; e nel mondo in cui viviamo, nel periodo in cui viviamo, essere predatori apicali vuol dire anche e soprattutto accumulare tutto il peggio del peggio che le attività antropiche riversano in mare.

Il problema della biomagnificazione

Questo avviene per il fenomeno di biomagnificazione: nei mari inquinati del nostro Pianeta, organismi dei piani bassi delle reti alimentari accumulano piccole quantità di contaminanti, che aumentano sempre di più salendo verso i piani alti di queste reti, nel passaggio da preda a predatore, fino ad arrivare in elevate concentrazioni ai predatori di vertice. Studi recenti hanno evidenziato nel grasso degli squali concentrazioni significative di metalli pesanti, radionuclidi, pesticidi, anche vecchi come il DDT, derivati degli idrocarburi, fino ad arrivare alla nicotina, ai residui degli antibiotici e ai derivati delle vernici ritardanti di fiamma, che si trovano soprattutto negli arredamenti degli edifici pubblici. Eppure, potrei giurare di non aver mai visto uno squalo mentre fuma una sigaretta, o mentre scatena un incendio, con quella sigaretta, sui balconi degli uffici comunali.

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Squalo balena (Rhincodon typus): il pesce più grande del mondo a bocca spalancata per filtrare plancton in compagnia di tre minuscoli Golden trevally © Emilio Mancuso, Istituto per gli studi sul mare

Esseri umani, competitori diretti dello squalo e suoi predatori

Oggigiorno, forse più che mai nella storia dei nostri oceani, essere predatori di vertice è sempre più complicato e rischioso, in particolare da quando il genere umano è diventato predatore in tutti i piani delle reti alimentari, compreso quello dei superpredatori. La grande crescita demografica ha fatto aumentare la richiesta di proteine, e siamo arrivati ad accaparrarci, tra catture ed acquacoltura, circa 160 milioni di tonnellate all’anno di prodotti ittici, con un consumo medio annuo pro capite che dai 10 kg del 1960 è passato agli oltre 19 kg nella seconda decade del 2000. Questo vuol dire che abbiamo impoverito pressoché tutti gli ecosistemi nei quali gli squali esistono, diventandone competitori diretti. Non solo competitori: siamo diventati anche predatori diretti degli squali.

Quando e perché gli squali diventano prede

Da sempre gli squali, che potremmo banalmente definire “pesci mediamente grossi e con poche lische”, rientrano tra le prede dell’uomo, anche per il fatto che le loro abitudini e la loro presenza ubiquitaria nei mari li porta ad essere sensibili a qualsiasi strumento di pesca. Si possono trovare squali come Bycatch, ossia, come catture accidentali, in palangari per i pesci spada, tremagli per gli scorfani e, perché no, attaccati all’esca per un totano; per non parlare di quanti squali finiscono nelle terribili e insostenibili reti a strascico. Si unisca a questo scenario già preoccupante la pesca intenzionale, quella per cui lo squalo non è un errore, ma piuttosto la specie target. Questo avviene, in primis, con l’orrenda pratica del finning, che consiste nell’asportazione delle pinne degli squali, usate per la produzione della famosa e ricercata zuppa di pinne di pesce cane. Molto spesso questa pratica viene erroneamente legata ai mercati orientali: in realtà lega economicamente quei mercati alle marinerie commerciali di tutto il mondo, anche di casa nostra: solo nel 2013 in Europa il Regolamento Ue n. 605/2013, relativo all’asportazione di pinne di squalo a bordo dei pescherecci –ribattezzato Fins naturally attached – ha imposto che le carcasse degli squali vengano sbarcate con le pinne ancora attaccate. In questo modo, si impone che le stive dei pescherecci vengano riempite non solo di pinne, ma anche del resto del corpo, di valore economico molto più basso, che veniva altrimenti ributtato direttamente in mare.

Questo debole esempio di regolamentazione, che dovrebbe essere solo l’inizio di una corretta presa di coscienza a livello europeo, non risolve il problema in Europa, e di sicuro non a livello globale: il vero punto è che, per vari motivi, ogni anno nel mondo si stima che vengano pescati tra i 150 e i 270 milioni di squali. Ne mangiamo le pinne, ne mangiamo le carni (si stima che l’Italia consumi circa tredicimila tonnellate annue di carne di squalo provenienti da 35 paesi del mondo, fonti Fao), ne usiamo le cartilagini e il fegato. Insomma, per tanti, troppi motivi, si stima che oltre l’ottanta per cento della biodiversità mondiale di squali sia in forte declino, con numerosissime specie che sono listate dallo Iucn, l’Unione internazionale per la conservazione della natura, come “a rischio di estinzione”.

Questa criticità è esacerbata, oltre dal fatto che non esiste uno strumento di pesca che si possa definire shark-safe, dal fatto che gli oltre 400 milioni di anni di evoluzione hanno reso gli squali particolarmente sensibili all’impronta ecologia dell’uomo:

  • hanno lunghi cicli vitali: uno squalo balena arriva a superare i cento anni, mentre lo squalo della Groenlandia Somniosus microcephalus supera i 400 anni di vita. Recentemente un individuo è stato datato 512 anni, aggiudicandosi il titolo di vertebrato più vecchio del Pianeta;
  • hanno una maturità sessuale molto tardiva: uno squalo balena diventa sessualmente maturo intorno ai 25–30 anni di età; lo spinarolo Squalus acanthias invece intorno ai 18-20 anni;
  • hanno lunghi periodi di sviluppo degli embrioni: lo spinarolo, di dimensione media di 1-1.4 metri, da ovoviviparo quale è, libera squaletti fatti e finiti che si sono sviluppati in circa 24 mesi, sembra quasi di vedere il parto di un mammifero;
  • sono poco prolifici: la maggior parte degli squali produce da uno a pochi piccoli per atto di riproduzione. Lo smeriglio Lamna nasus, purtroppo molto presente nel reparto surgelati dei supermercati, al massimo riesce a fare cinque piccoli per volta: una media molto bassa se paragonata alle circa 800 uova per chilo di peso che produce un’orata Sparus aurata, altro pesce tipico da supermercato.
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Squali smeriglio (Lamna nasus) presso il mercato ittico generale di Milano, una delle specie più diffuse nel commercio di squali a scopo alimentare © Emilio Mancuso, Istituto per gli studi sul mare

Il ruolo ecologico degli squali riguarda tutti

Si evince quindi facilmente quale impatto possa avere ogni singolo prelievo di squali sul futuro dei loro stock, delle loro specie e degli ecosistemi dei nostri oceani. Diversi studi sulla dinamica delle popolazioni di squali e sull’importanza del loro ruolo ecologico dimostrano che la diminuzione della loro presenza, e quindi la diminuzione della loro pressione sulle prede, porti le stesse – che sono comunque predatori di buon livello, pensiamo alle cernie – a diventare troppo numerose e a sovra-predare la specie che sta al piano inferiore della rete alimentare, facendo diminuire il numero degli individui. Di conseguenza, questo porta gli stessi predatori, non più regolati dagli squali, in forte diminuzione, proprio a causa della scarsità di prede. Si vengono pertanto a creare degli “effetti fisarmonica” sull’abbondanza e sulla scomparsa di numerose specie, anche di interesse commerciale.

Un mare povero di squali è un mare in cui anche il comparto pesca, già fortemente compromesso da una gestione obsoleta, priva di basi scientifiche, e molto spesso non ecocompatibile con le risorse ittiche, ha solo da perderci. Non solo, siamo noi tutti i primi a perderci: indissolubilmente legati al mare e indissolubilmente legati alla meravigliosa bellezza e importanza del ruolo ecologico degli squali nei nostri oceani.

Nella situazione attuale un elemento importante si sta manifestando, e un alleato grande si sta alzando in favore di questi preziosi animali: la conoscenza e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Per fortuna sempre più persone stanno imparando che la salute dei nostri mari, e quindi anche la nostra salute, passa attraverso la salute degli squali. Sempre più persone stanno capendo che non sono mostri da temere ma meravigliosi animali da conoscere, da rispettare e da aiutare affinché ci aiutino a riconciliare il nostro rapporto con i mari del mondo. In questo importante processo di “presa di coscienza” nei confronti degli squali vediamo la spinta che dal basso possa spingere gli squali a riconquistare l’importante ruolo che da milioni di anni svolgono nel pianeta-mare.

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