Un anno con Greta Thunberg. Intervista a Nathan Grossman, regista di I am Greta

Il regista di I am Greta racconta l’incredibile avventura, vissuta al fianco di Greta Thunberg, nel suo primo rivoluzionario anno di attivismo.

Ogni volta che inizia un nuovo progetto, il regista Nathan Grossman (classe 1990) è convinto che la cosa non andrà lontano ed è preso dalla tentazione di mollare tutto e dedicarsi ad altro. Un atteggiamento che gli è valso addirittura l’epiteto tra i colleghi di “grande pessimista”. La stessa cosa accadde nel 2018, quando, grazie alla dritta di un amico, iniziò a seguire l’iniziativa di Greta, una sconosciuta quindicenne, con le trecce bionde e l’aria timida, che si era messa a scioperare per la causa climatica davanti al parlamento svedese.

Appassionato di tematiche ambientali, Grossman rimase per qualche tempo appostato con la sua telecamera a riprendere quello che accadeva, convinto che avrebbe portato a casa il materiale per un cortometraggio o al massimo una serie tv per bambini, su diversi giovani attivisti di belle speranze, ma di poco peso.

E invece, quella tenace ragazzina era Greta Thunberg e di lì a poco avrebbe occupato le prime pagine dei giornali e dei notiziari di tutto il mondo; e Nathan Grossman sarebbe stato il testimone privilegiato dell’inizio di una rivoluzione. Un risvolto niente male per un pessimista cronico, che da un marciapiede di Stoccolma si è così trovato a viaggiare per tutta Europa al fianco dell’attivista, incontrare capi di Stato e attraversare l’Oceano Atlantico su una barca a vela.

Ora il racconto di questo anno incredibile è contenuto nel documentario I am Greta – Una forza della natura, passato per la 77esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia lo scorso settembre e disponibile per il pubblico italiano in digital download dal 14 novembre.

Atteso al cinema come evento speciale agli inizi di novembre I am Greta arriverà direttamente in streaming sulle piattaforme digitali di Sky Primafila, Google Play, InfinityTimvision, Chili e Rakuten TV e nelle sale virtuali dei circuiti di MioCinema e Io resto in sala.

A distribuirlo Kock Media con LifeGate come media partner ufficiale. In fondo anche noi, come Grossman, abbiamo seguito Greta fin dall’inizio, senza mai smettere di sostenerla, nella sua impresa rivoluzionaria.

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Il regista Nathan Grossman alla presentazione del suo documentario alla 77esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia © Vittorio Zunino Celotto/Getty Images

Chi è Nathan Grossman, regista di I am Greta

Nathan Grossman (classe 1990) è un documentarista e un direttore della fotografia svedese appassionato alle questioni ambientali. Laureatosi all’Accademia di arti drammatiche di Stoccolma, ha iniziato a lavorare come fotografo per Rolling Stone India, per poi dedicarsi al cinema. Grossman si è imposto all’attenzione del pubblico con il suo cortometraggio del 2015, dal titolo The Toaster Challenge, che ha raggiunto oltre 15 milioni di visualizzazioni, in cui il ciclista e campione olimpico Robert Förstemann ha pedalato strenuamente per generare l’energia necessaria a tostare una fetta di pane, dimostrando quanta energia consumiamo noi umani rispetto a quella che possiamo generare. Nel 2017 Grossman ha girato Köttets Lustar, la sua prima serie tv per l’emittente pubblica Svt, incentrata sul crescente consumo di carne in Svezia. La serie è stata anche nominata al premio Kristallen come miglior programma dell’anno.

In occasione dell’uscita italiana del suo documentario I am Greta – Una forza della natura, lo abbiamo intervistato, per farci raccontare genesi, evoluzione e aneddoti di questa incredibile esperienza.

Conversazione con Nathan Grossman

Come spesso accade per i migliori documentari, anche in questo caso è iniziato tutto “per caso”. Ci racconta meglio com’è andata?
Sì è vero, molti buoni documentari iniziano “per caso” e a volte anche grazie a un consiglio. Un mio amico conosceva la famiglia di Greta e mi disse che la ragazzina aveva deciso di andare a scioperare davanti al parlamento svedese. A quei tempi lei era completamente sconosciuta e io ero interessato al tema dei cambiamenti climatici e a fare film a tema ambientale. Così decisi di provare a filmarla per un giorno o due, per capire se potesse essere un personaggio interessante. Andai lì sul posto e all’inizio fu anche difficile trovarla! Era una ragazzina “minuscola” di fronte a un palazzo enorme. Ci diede il permesso di filmarla, a patto che non interferissimo con la sua attività. Le misi un microfono e mi appostai poco distante, iniziando a filmare.

Quando ha capito che la storia che stava filmando non era una storia qualunque, ma l’inizio di una rivoluzione?
Ci è voluto un po’ di tempo. I colleghi di solito mi chiamano “il grande pessimista”, perché spesso mi convinco che le cose non andranno lontano e tendo a rinunciare. La stessa cosa accadde anche stavolta. Avevo deciso di continuare a filmare Greta, perché ne ero affascinato, ma per tutto l’inverno non accadde un granché. C’erano un po’ di persone che avevano iniziato a scioperare in Scandinavia e in Olanda e io pensavo che la cosa si sarebbe fermata lì. Mentre stavo già ipotizzando di chiudere il film, improvvisamente gli scioperi iniziarono a diffondersi in Australia. E non partecipavano cinquanta o sessanta persone, come in Svezia e Norvegia, ma decine di migliaia di persone. A quel punto capii che il messaggio di Greta stava superando il confine della Scandinavia, raggiungendo in fretta l’Italia e tanti altri Paesi, con scioperi molto più grandi di quelli visti nel nord della Svezia. Il fenomeno stava diventando davvero importante.

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Il regista Nathan Grossman iniziò a filmare i primi scioperi di Greta Thunberg quando lei era ancora sconosciuta © Nathan Grossman

So che il suo interesse per il tema dei cambiamenti climatici è iniziato con la visione di Una scomoda verità, che ha rappresentato un punto di svolta importante sia per il cinema che per la presa di coscienza globale della crisi ambientale. Qual è il ruolo di un film come I am Greta, oggi?
Penso che il cinema si stia evolvendo. Molte persone oggi sanno cosa sono i cambiamenti climatici e che essi dipendono dall’azione umana. Il mio film racconta piuttosto cosa stanno facendo le nuove generazioni, che sono quelle che dovranno vivere in quel futuro incerto, e cosa significa avere quella consapevolezza, in un mondo che non reagisce. An Inconvenient Truth si concentrava sull’analisi del problema climatico e ambientale, mentre I am Greta è un ritratto umano. È un film sugli effetti psicologici del cambiamento climatico e non sui dettagli scientifici e le statistiche. Credo che servano entrambi i tipi di film, ma il mio si concentra di più sul lato umano.

È un film che parlerà in modo diverso alle diverse generazioni?
Sì, credo sia un film che le diverse generazioni vedranno in modo diverso. Ai più giovani racconta lo stato di ansia e preoccupazione che molti di loro stanno vivendo in questo momento. Gli adulti invece percepiranno come questa sia una responsabilità che non dovrebbe essere lasciata a ragazzini come Greta. Loro possono rappresentare un campanello d’allarme, ma non possono portare un fardello simile sulle loro spalle. In questo senso credo che molti adulti si sentiranno un po’ in imbarazzo guardando il film.

Lei ha filmato dei momenti intimi e delicati della vita di Greta, che è una ragazza molto riservata. Come mai, secondo lei, Greta ha accettato di lasciarle raccontare anche questa parte di sé?
Penso che Greta sia consapevole che la sua storia possa fare la differenza e che possa toccare il cuore delle persone, aiutandole, attraverso di lei, a capire il problema. Inoltre, all’inizio delle riprese io ero stato molto onesto, dicendole che non sapevo se la protagonista sarebbe stata lei o il movimento. Tutto dipendeva dal materiale che avrei raccolto e dalla piega che avrebbe preso la storia. Poi con l’evolversi del progetto le ho detto che avrei voluto focalizzarmi di più su di lei e lei ha accettato.

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Quando ha iniziato a filmare gli scioperi di Greta, il regista pensava che avrebbe realizzato un cortometraggio su giovani attivisti o una serie tv per bambini © Nathan Grossman

Nel film vediamo spesso Greta col papà, mentre gli altri componenti della famiglia non compaiono quasi mai. Come mai questa scelta?
Col tempo il film ha preso le sembianze di un road movie, sia in senso fisico che mentale. Un viaggio per raggiungere i politici e farsi ascoltare da loro, un viaggio per portare un messaggio al mondo intero. E durante questo viaggio il papà di Greta era sempre con lei, perché lui è quello che noi in svedese definiamo “hamma papa”, che in inglese si dice “at home dad” (un mammo). Credo sia una cosa molto svedese, perché in molte parti del mondo in genere è il papà a lavorare e la mamma a stare a casa, mentre nella loro famiglia è il contrario e quindi è lui a viaggiare con Greta e ad accompagnarla. Per questo vediamo più lui che gli altri membri della famiglia. Anche perché io credo che, per qualunque soggetto, sia giusto limitare le riprese in ambito privato.

Per quanto tempo esattamente e quante ore di materiale ha girato in tutto?
Non le ho calcolate con precisione, ma dovrebbero essere 150 ore circa, che sembra moltissimo, ma si tratta anche di tante ripetizioni e scene di viaggio. Certo, paragonato all’ora e mezza del documentario è una bella differenza. Diciamo che quello che mi interessava era mostrare il mondo per come appare agli occhi di Greta. Se non si ha un punto di vista e un focus si rischia di creare un film confuso. Il mio era riuscire a entrare nella sua testa.

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L’attivismo di Greta Thunberg ha dato origine al movimento dei Fridays for Future, protagonisti delle grandi mobilitazioni a favore del clima © Nathan Grossman

Una delle sfide più grandi è stata filmare anche durante la traversata dell’Atlantico. Com’è andata?
Se nel corso di questo anno mi fossi dato un pizzicotto ogni volta che mi trovavo in una situazione surreale, avrei avuto le braccia piene di lividi! Attraversare l’Atlantico in barca a vela è stato uno di quei momenti. Mi ricordo quando Greta mi disse che avrebbe attraversato l’oceano in barca a vela e io risposi che avevo fatto tante cose nella mia vita, ma che per filmare questa parte avremmo dovuto trovare qualcun altro. Quindi cercai tra i miei colleghi qualcuno che volesse andare, perché io non ne avevo nessuna intenzione. Poi, parlandone un po’ meglio con il capitano della barca e con Greta, capii che sarebbe stata un’esperienza sì avventurosa, ma non pericolosa e allora mi convinsi ad andare con loro. Il viaggio è stato accidentato, ma anche molto affascinante. A volte sembrava di volare sull’acqua! Non era certo uno yacht di lusso, ma una sorta di “macchina” progettata per essere più leggera possibile.

Questa traversata oceanica, in cui Greta sfida le onde “da sola”, facendo qualcosa di inaspettato e quasi incredibile, può essere considerata la metafora di tutto il film e anche dell’anno trascorso da Greta?
Sì, è proprio così. La storia di questo film ha diverse metafore, lei stessa e il film diventano dei simboli e possono essere visti su un altro livello. Ricordo che quando eravamo al porto, prima della partenza il capitano disse una cosa molto interessante. “Quello che stiamo per fare è quello che forse l’umanità intera dovrebbe fare: spingersi verso l’ignoto. Noi non sappiamo come andranno le cose, ma non abbiamo paura di affrontarle”. In effetti io, Greta e suo padre non avevamo la minima idea di cosa significasse attraversare l’oceano in barca a vela. E la stessa cosa vale per i cambiamenti climatici. Noi non sappiamo esattamente come risolvere tutti i problemi, ma dobbiamo affrontarli, perché non c’è tempo da perdere.

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Il regista Nathan Grossman ha accompagnato Greta Thunberg anche durante la traversata atlantica © Nathan Grossman

Ci sono stati momenti che avrebbe voluto riprendere ma non è riuscito?
Sì, devo dire che in molti casi mi sono sentito molto fortunato ad aver avuto in mano la telecamera al momento giusto, ma al tempo stesso ce ne sono stati altri che mi sono perso perché stavo dormendo, ero in bagno o la telecamera era scarica… Quando segui una persona per molto tempo succede sempre così, anche se allo spettatore può sembrare che la telecamera sia sempre accesa.

Le è mai capitato di non essere ammesso a qualche incontro con le istituzioni?
Una delle cose più difficili e che mi ha sorpreso di più è stata proprio la difficoltà che c’è ad accedere a questi incontri. Molti politici sono ben contenti che i media li seguano durante i loro comizi o quando raccolgono consensi, ma appena si entra nelle loro stanze diventa tutto più difficile. Greta e gli altri ragazzi avrebbero voluto che li accompagnassimo per mostrare i loro incontri, ma spesso i politici si sono dimostrato riluttanti. Ricordo per esempio che avrei voluto riprendere l’incontro con Barack Obama, ma non è stato possibile.

Com’è cambiata Greta durante questo periodo così intenso, dal suo punto di vista?
Posso parlare solo dell’anno che ho condiviso con lei. Sicuramente è maturata e cresciuta sotto molti punti di vista. Il suo inglese è migliorato molto e lei ha imparato a parlare alla stampa e a gestire il suo attivismo. Ma è cresciuta anche da un punto di vista umano, è diventata più spiritosa e socievole e più aperta, sia con me che con molti ragazzi del movimento. In adolescenza le cose cambiano in fretta…

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