Dov’è finito colorante cancerogeno “il Sudan I”?

L’ultimo prodotto richiamato, ieri, la scatoletta da 400 grammi di “chili con carne” di una nota marca inglese. Ma anche tonnellate di “pollo alle spezie”, preparazioni di carne, curry e piatti al curry, kebab, cous cous, barattoli di sughi pronti (specialmente quelli “all’arrabbiata”) e decine di altri prodotti sono spariti dai banconi dei supermarket inglesi.

L’ultimo prodotto richiamato, ieri, la scatoletta da 400 grammi di
“chili con carne” di una nota marca inglese. Ma anche tonnellate di
“pollo alle spezie”, preparazioni di carne, curry e piatti al
curry, kebab, cous cous, barattoli di sughi pronti (specialmente
quelli “all’arrabbiata”) e decine di altri prodotti sono spariti
dai banconi dei supermarket inglesi.

Il problema è il Sudan I, un colorante rosso cancerogeno e
genotossico proibito in tutta Europa. Che è sbarcato
quest’anno, a quanto pare, in ingenti quantità di polveri di
peperoncino provenienti dall’India e dal Sud Est asiatico.

Il Sudan I è un composto chimico usato industrialmente in
olii, cere, derivati petroliferi, vernici. Il suo uso è
tassativamente proibito in campo alimentare, in Europa e in Usa:
non c’è una dose giornaliera accettabile che possiamo
assumerne, perché è un “chemical hazard non
classificabile – scrive l’Istituto di medicina del Dipartimento Usa
del lavoro – per il suo effetto cancerogeno sull’uomo”. La
Commissione Euroepa è arrivata a vietare l’importazione di
peperoncino rosso e dei prodotti derivati “a meno che le partite
non siano accompagnate da un certificato comprovante che il
prodotto non contiene il colorante Sudan rosso 1″.
Le partite con il colorante “devono essere distrutte”. “Il
colorante Sudan rosso 1 – si legge nel testo della decisione della
Commissione – può essere considerato una sostanza
cancerogena genotossica. Pertanto è impossibile stabilire
una dose giornaliera tollerabile”. Il colorante può anche
provocare reazioni di sensibilizzazione per via cutanea o
inalazione.

Dopo l’Inghilterra e la Francia, anche in Italia sono scattati
indagini e richiami. In Italia, due grandi produttori di sughi
avevano a fine giugno ritirato diverse partite di sughi
all’arabbiata. Ma il peperoncino rosso che contiene il colorante
cancerogeno circola ancora. Lo ha scoperto l’Agenzia regionale
protezione ambientale (Arpa) di Torino a fine agosto, che ha
trasmesso un rapporto alla Procura del capoluogo piemontese.
I cibi in questione sono pasta al peperoncino, salami e salsicce
piccanti, peperoncino in polvere, tajarin (pasta tipica del
Piemonte) prodotti in aziende e ditte artigiane di Torino e
provincia, Cuneo, Novara, Milano, Genova, Teramo.
Il pm Guariniello ha aperto un fascicolo per somministrazione di
sostanze alimentari pericolose, e ha ordinato ai suoi collaboratori
di identicare i produttori, che verranno indagati insieme, è
probabile, agli importatori.

Due settimane fa un’inchiesta de “Il Salvagente” ha commissionato
analisi al laboratorio della Camera di Commercio di Torino, che
hanno riscontrato una forte presenza di Sudan I nel “pesto alla
siciliana” di un grande produttore, in dosi cento volte superiori a
quelle trovate ancora in alcune salse (tra cui una alle
vongole).

Peperoncino al cancerogeno? “Non il nostro, che è
biologico”. Lo afferma con orgoglio chi usa peperoncino certificato
biologico, di produzione nazionale ed assolutamente non
d’importazione. Infatti, quello “sotto accusa”, con il colorante
“Sudan rosso I” è tutt’altro: di provenienza indiana,
economico e poco piccante.

Tutt’altro sapore, gusto e… è il caso di dirlo,
colore.

Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

Articoli correlati
#bastabufale, Laura Boldrini lancia un appello contro le fake news

Laura Boldrini, presidente della Camera dei deputati, lancia un appello contro le fake news, le cosiddette “bufale” sempre più presenti, e fuorvianti, sul web. “Essere informati correttamente è un diritto. Essere disinformati è un pericolo”, dice Boldrini che ha deciso di lanciare questa iniziativa (l’appello può essere firmato da chiunque dal sito www.bastabufale.it e condiviso sui social

Luaty Beirao, 5 anni di carcere per il rapper angolano dissidente

Cinque anni e mezzo di carcere: tanto è costato a Luaty Beirao, musicista e rapper angolano il suo impegno politico e la dissidenza al presidente Jose Eduardo dos Santos. La sentenza è stata emessa da un tribunale di Luanda che ha giudicato Beirao e altri 16 imputati colpevoli di voler rovesciare il governo e le

Il bancomat a Nairobi che non distribuisce denaro ma acqua potabile

Ricorda molto un bancomat questa “casa dell’acqua” operativa a Nairobi. Un distributore di quelli che si trovano anche nelle nostre cittadine. In questo caso però, il distributore d’acqua si trova in uno dei luoghi dove le condizioni di vita sono più difficili, ovvero nell’agglomerato di Nairobi chiamato Mathare. Popolazione stimata 500 mila persone.