Antropocene, l’epoca umana nelle parole e immagini di Edward Burtynsky

È uscito nelle sale Antropocene, l’epoca umana. Per l’occasione abbiamo intervistato il fotografo e co-regista Edward Burtynsky che ci ha raccontato il viaggio dietro al documentario.

Alla fine della visione di Antropocene, l’epoca umana, uscito nelle sale italiane il 19 settembre, si prova una sensazione di smarrimento. Emerge quel senso di nostalgia e di ansia che si prova quando si ha la percezione che l’ambiente intorno a sé stia subendo un inesorabile declino. Questa “climate anxiety” è stata tradotta in italiano col termine “solastalgia”. E a essere colpite sono soprattutto le nuove generazioni. Un recente rapporto sostiene che il 45 per cento dei bambini soffre di depressioni prolungate dopo aver vissuto eventi meteorologici estremi o disastri naturali. Eppure i cosiddetti “grandi”, i genitori, gli adulti restano a guardare.

Il documentario è diviso in capitoli che raccontano i vari gradi di sfruttamento, di trasformazione inesorabile che la Terra sta subendo per mano dell’essere umano. Una trasformazione che ci ha fatto entrare in una nuova era: l’antropocene, appunto. I registi Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, accompagnati dal fotografo Edward Burtynsky, ci portano in luoghi distanti tra loro, ma accomunati dal disastro che stiamo causando all’ecosistema terrestre. Ogni luogo ha un tratto comune: ciò che stiamo causando al Pianeta ha la forma di una ferita aperta su un campo di battaglia. Antropocene, l’epoca umana è una visione difficile, ma necessaria per passare al grado successivo di consapevolezza. Abbiamo chiesto al fotografo Burtynsky di raccontarci quest’esperienza.

Il documentario mostra il declino lento e inesorabile del Pianeta per mano dell’uomo. Cosa vi ha impressionato di più?
Vedere dal vivo un macchinario per l’estrazione del carbone di dimensioni enormi, in Germania, è stata un’esperienza che mi ha colpito. Così come ciò che ho visto a Norilsk, una città di 200mila abitanti che si trova a 400 chilometri a nord del Circolo polare artico. La loro vita ruota intorno a una sola industria: quella del nichel. Norilsk è sorta sopra a uno dei più grandi giacimenti metalliferi al mondo. Per otto mesi all’anno la città è sommersa in una notte perpetua. Mi sembra quasi impossibile che così tante persone riescano a vivere in tali condizioni, al buio per otto mesi, in uno dei luoghi più remoti e inquinati del Pianeta.

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È stato davvero impressionante scendere nel sottosuolo della Siberia, in una miniera dove si trova una delle maggiori concentrazioni di carbonato di potassio. O anche a Lagos, in Nigeria, una città che sta crescendo a ritmi impressionanti. O a Nairobi, in Kenya, dove abbiamo osservato il rogo appiccato alle zanne di 10mila elefanti. Potete immaginare l’orrore, le zanne erano quelle degli elefanti più grandi che sono riusciti a ammazzare, perché quando i bracconieri vanno a caccia cercano sempre di colpire prima l’esemplare con le zanne più grandi perché di maggior valore economico.


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Ha fatto riferimento a Norilsk in Siberia. Ma nel documentario le persone che lavorano in quelle condizioni sono orgogliose di ciò che fanno. Come mai?
Penso che gli esseri umani siano molto tenaci, si adattano a tutto, a qualsiasi condizione, magari si soffre la prima settimana, ma poi ci si fa l’abitudine, circostanze terribili diventano normali, come per esempio nelle zone di guerra. Che il cambiamento sia in meglio o in peggio, riusciamo ad adattarci molto rapidamente, e a ciò si lega la sopravvivenza e il “successo” della nostra specie. È così che sopravvivono le persone che vivono in una discarica di plastiche, non conoscono un altro mondo e cercano di adattarsi al meglio delle loro possibilità. Le preoccupazioni, però, rimangono comunque universalmente umane: educare i propri figli, assicurarsi che ci sia abbastanza cibo, un buon riparo. Per noi occidentali questa idea è quasi insopportabile, non riusciamo a comprendere come sia possibile una vita del genere, ma lì è l’unica possibilità.

Come ha fatto a non cadere in depressione nella realizzazione del documentario?
Penso che ci sia tempo per dialogare, tempo per capire, tempo per decidere e fare la prossima mossa. Credo che la speranza venga dall’azione, dal chiedersi cosa possiamo fare, come possiamo cambiare i nostri comportamenti. E sotto molti aspetti è da lì che viene la spinta positiva: quando in tanti iniziamo a muoverci nella giusta direzione, è lì che possiamo cambiare il mondo.

“Change”, cambiamento è forse la parola più abusata di questi anni, ma è possibile cambiare per tornare all’essenza pur di salvare la Terra?
Cosa vuol dire davvero tornare all’essenza? Non mi sembra ci sia la possibilità di tornare a una vita di cacciatori raccoglitori. Viviamo in centri urbani dove è necessaria la tecnica per sopravvivere. Piuttosto penso sia possibile sostituire l’idea occidentale di soddisfazione e valore con una concezione ‘esperienziale’. Penso che le nuove generazioni lo stiano già facendo: cercano di prendere valore dalle esperienze piuttosto che dai beni materiali. Valore è conoscenza, amicizia, benessere psicologico. Spero che tutto questo possa diventare la base di un nuovo sistema di valori.

Che tipo di reazione si aspetta dal pubblico?
A noi interessa coinvolgere coloro che non credono nella crisi climatica, che non pensano che gli esseri umani abbiano un impatto importante sul pianeta, e dire loro: “Date un’occhiata qui e riflettete”. E se riuscissimo a convincere queste persone che c’è davvero un problema, forse andrebbero a verificare cosa dice il loro rappresentante politico sul clima, forse cambierebbero il modo in cui trattano la plastica, quello che mangiano o auto che guidano. Credo che il modo in cui il messaggio ambientalista è stato espresso finora abbia creato una polarità: oggi chi è di sinistra è ambientalista, mentre chi è di destra è anti-ambientalista. Tutto ciò è ridicolo perché quando la natura punisce non fa sconti a nessuno, destra o sinistra, credenti o atei, ricchi o poveri: ci colpisce tutti.

L’intervista a Edward Burtynsky è frutto di una collaborazione con FilmTv

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