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Ex bambini di strada guidano i turisti nella vita nascosta della capitale. Sono 11 milioni i bambini che in India vivono sui marciapiedi.
Jo Farrell, fotografa pluripremiata e antropologa culturale, ha documentato dal 2007 le ultime donne cinesi ancora in vita che sono cresciute con i piedi bendati. Il suo progetto, Living History, è nato dal desiderio di testimoniare la particolarità di questa tradizione che sta scomparendo e che l’ha portata alla pubblicazione di un libro che racchiude
Jo Farrell, fotografa pluripremiata e antropologa culturale, ha documentato dal 2007 le ultime donne cinesi ancora in vita che sono cresciute con i piedi bendati. Il suo progetto, Living History, è nato dal desiderio di testimoniare la particolarità di questa tradizione che sta scomparendo e che l’ha portata alla pubblicazione di un libro che racchiude interviste e fotografie delle donne del “Loto d’oro”. Donne che, ormai in età avanzata, incarnano una visione di femminilità che, seppur sia ora denigrata, nella loro giovinezza rappresentava il biglietto per la mobilità sociale.
Le origini della pratica del Loto d’oro in Cina risalgono al Primo secolo, quando la concubina dell’imperatore Li Yu si fasciò i propri piedi per eseguire la danza del Loto. Questa pratica, divenuta poi diffusa, prevedeva di fasciare i piedi fin dall’infanzia in modo da mantenerli piccoli, il che però causava la rottura delle ossa dei piedi. Inizialmente era una pratica limitata alle classi alte, ma gradulamente si è diffusa in tutti gli strati sociali. I “piedi di loto”, infatti, permettevano alle donne, anche le più povere, di trovare un marito più o meno facoltoso.
Farrell spiega che “avere i piedi fasciati era il segno che quella ragazza sarebbe stata una buona moglie, per avere sopportato tanto, e che non si sarebbe lamentata”.
La pratica fu bandita nel 1912, ma continuò fino al 1949. Quando i comunisti arrivarono al potere, diversi ufficiali contrari al Loto d’oro setacciarono i villaggi per rimuovere forzatamente le bende. Le donne a cui erano stati fasciati i piedi prima del 1949 dovettero perciò affrontare il regime di duro lavoro manuale imposto dal regime maoista con l’enorme ostacolo dei piedi fasciati. Sebbene le donne che ha incontrato Farrell abbiano sposato uomini appartenenti a famiglie facoltose, “la maggior parte di loro era composta da contadine che passavano quasi tutta la vita nei campi”, spiega la fotografa.
Queste donne sono quasi introvabili, sparse tra l’enorme popolazione cinese. “Pensavo non ce ne fossero di più, vive. Un giorno ho incontrato un autista che mi ha detto che sua nonna aveva i piedi fasciati. Ho viaggiato fino al suo villaggio nella provincia di Shandong e lì ho incontrato Zhang Yun Ying nel maggio del 2015”. Dopo questo primo incontro, ne ha conosciute altre grazie al passaparola. Ad oggi, Farrell ha intervistato e fotografato circa cinquanta donne con i piedi fasciati, cinque delle quali sono poi morte.
Il grandioso lavoro di Farrell non cerca di condannare queste donne e i loro piedi deformati, ma piuttosto vuole immortalare la loro umanità e la loro grazia. “Voglio raccontare le storie di queste incredibili donne attarverso le mie foto e le mie parole. Penso che le persone impieghino troppo poco tempo a giudicare le culture diverse dalle proprie, senza pensare al perché qualcosa sia accaduto”. La fotografa riporta infatti l’esempio della chirurgia plastica e delle mutilazioni dei genitali femminili, emtrambe forme di modificazione fisica che modellano il corpo secondo standard estetici determinati dalla cultura, piuttosto che dalla natura.
Sebbene oggi molti inorridirebbero alla vista dei “piedi di loto”, questi erano considerati il culmine della bellezza femminile, oltre che una zona altamente erogena. Le donne “spesso mi mostrano quanto fossero piccoli i loro piedi prima che togliessero le bende alla fine degli anni Quaranta, e credo che lo facciano con senso di orgoglio di ciò che sono riuscite a raggiungere in origine”, spiega Farrell.
Le fotografie in bianco e nero, realizzate usando tecniche tradizionali, ispirano rispetto nei confronti delle donne che ritraggono. “Fin dal principio del progetto ho provato un irrefrenabile sentimento di empatia nei confronti di queste donne. Sono state estremamente coraggiose, e le loro storie dovrebbero essere raccontate alle generazioni future. Continuerò questo progetto. Ogni anno vado in visita dalle donne e ogni volta è un’esperienza commovente”, commenta Jo Farrell.
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