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Secondo uno studio inglese, le emissioni di CO2 potrebbero scendere dello 0,6 per cento nel 2015. I livelli, però, restano ancora troppo alti.
Le emissioni globali di CO2, ovvero del più diffuso gas ad effetto serra, si sono stabilizzate nel corso del 2014. E quest’anno dovrebbero registrare un leggero calo, nell’ordine dello 0,6 per cento. A spiegarlo è uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Climate Change, nel quale si sottolinea come si tratti della prima volta che ciò accade in una fase di crescita economia (il prodotto interno lordo, a livello mondiale, è aumentato del 3,4 per cento lo scorso anno e dovrebbe chiudere il 2015 con un più 3,1 per cento).
La notizia è stata diffusa lunedì 7 dicembre, ovvero all’inizio della seconda settimana di lavori alla Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (Cop 21) di Parigi. Ma attenzione: il messaggio arrivato dai 70 ricercatori che hanno scritto il rapporto – diretti dalla docente Corinne Le Quere, della University of East Anglia – non va letto con eccessivo ottimismo.
Lo stesso studio spiega infatti che non è affatto detto che il 2015 sarà ricordato come l’anno del “picco di emissioni”, succeduto cioè da un calo stabile sul lungo periodo. Al contrario, ha ammonito Le Quere secondo quanto riportato dal quotidiano britannico Guardian, “la produzione energetica dei paesi in via di sviluppo si basa ancora essenzialmente sul carbone, e i cali in termini di emissioni di CO2 registrati nelle economie avanzate sono ancora troppo modesti”.
In altre parole, anche se il picco dovesse arrivare nel prossimo futuro, il livello totale delle emissioni resterà probabilmente molto alto per lungo tempo. Se a ciò si aggiunge che la CO2, una volta dispersa nell’atmosfera, vi resta per decenni, si comprende quanto lontani siamo da una soluzione definitiva. È interessante notare, però, che la leggera flessione del 2015 è in larga parte dovuta ad una diminuzione dell’uso di carbone in Cina. Ciò conferma due cose: innanzitutto, che è proprio il carbone il nemico numero uno dell’ambiente. In secondo luogo, che senza una profonda transizione energetica nella nazione asiatica così come in India, ovvero nell’altra superpotenza emergente, sarà difficile centrare l’obiettivo che i paesi partecipanti alla Cop 21 si sono fissati, ovvero limitare la crescita delle temperature medie globali ad un massimo di 2 gradi, entro la fine del secolo (livello che, tra l’altro, è considerato da molti persino insufficiente).
Basti pensare che, nell’immensa nazione indiana, ancora oggi circa 300 milioni di persone non hanno accesso all’energia elettrica. L’espansione economica del paese porterà con ogni probabilità a diminuire fortemente tale cifra, il che, ovviamente, rappresenta un indubbio avanzamento sociale. A livello ambientale, però, occorrerà capire in che modo il governo di Nuova Delhi intenderà garantire alla propria popolazione un approvvigionamento energetico universale. Se, in altre parole, lo farà puntando sulle energie pulite e rinnovabili, oppure continuando a sfruttare carbone e nucleare.
A Parigi, la posizione dell’India è apparsa in proposito alquanto ambigua: da una parte, il governo di Narendra Modi ha lanciato una storica Alleanza per il solare, che prevede la partecipazione di oltre cento nazioni situate tra i tropici del Cancro e del Capricorno. Dall’altro, secondo le indiscrezioni fornite dagli osservatori delle ong che hanno seguito i negoziati, la stessa India avrebbe posto il veto sull’utilizzo della parola “decarbonizzazione” nella bozza di accordo sulla quale lavorano da ieri i ministri di tutto il mondo.
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