Epidemia colposa e piano pandemico: chi è indagato e perché nelle inchieste Covid

A Bergamo indagati il governo Conte, Fontana e il Cts per epidemia colposa a Roma tre ex ministri per le omissioni sul piano pandemico.

  • Diciannove indagati nell’inchiesta sulla gestione dell’epidemia di Covid in Lombardia.
  • Un zona rossa in Val Seriana avrebbe evitato oltre 4mila morti al febbraio del 2020.
  • Gli ultimi tre ex ministri della Salute indagati per il piano pandemico non aggiornato.

Aggiornamento del 9 marzo 2023. 

Dopo tre anni di lavoro, la Procura di Bergamo ha chiuso l’indagine sulla gestione dell’emergenza Covid in Lombardia nelle prime settimane dello scoppio dell’epidemia in Italia, nel febbraio del 2020, iscrivendo nel registro degli indagati, con l’accusa di epidemia colposa, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, l’allora ministro della Salute Roberto Speranza, l’appena riconfermato presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, e poi il suo ex assessore alla Sanità Giulio Gallera.

E ancora, tra gli accusati di epidemia colposa ci sono: Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di Sanità; Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità; Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico istituito dal governo per fronteggiare l’emergenza coronavirus; l’ex direttore vicario dell’Oms Ranieri Guerra. Nel 2020, nella provincia lombarda, morirono seimila persone in più rispetto alla media dei cinque anni precedenti.

Tutte le tappe che hanno portato all’accusa di epidemia colposa 

Tre i punti su cui si sofferma l’inchiesta:

  • la chiusura e l’immediata riapertura dell’ospedale di Alzano.
  • la mancata istituzione di una “zona rossa” in Val Seriana
  • l’assenza di un piano pandemico aggiornato.

Tre anni di indagini, che si sono avvalsi anche di una consulenza affidata al microbiologo Andrea Crisanti, che hanno portato la Procura bergamasca ad affermare che la diffusione di Sars Covid-19 fu sottovalutata nonostante i dati a disposizione da settimane indicassero che la situazione a Bergamo, primo grande focolaio del virus, stava precipitando. Tre anni di indagini che vertono fondamentalmente su quanto accaduto in pochi giorni, proprio nel mese di febbraio del 2020.

L’ospedale di Alzano 

Il 31 gennaio il governo guidato da Giuseppe Conte aveva già dichiarato lo stato di emergenza “viste le raccomandazioni  alla comunità internazionale della Organizzazione mondiale della sanità (che il giorno precedente aveva fatto lo stesso, ndr) circa la necessità di applicare misure adeguate; e ritenuto che tale contesto di rischio impone l’assunzione immediata di iniziative di carattere straordinario ed urgente, per  fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettività  presente  sul territorio nazionale”.

Devono passare 20 giorni però prima che, il 20 febbraio, la dottoressa Malara, anestesista all’ospedale di Codogno, forzando i protocolli si renda conto che quella di Mattia, il paziente uno, non era una “normale” polmonite: nel frattempo, l’epidemia (non ancora dichiarata pandemia dall’Oms) è già dilagata in Lombardia.

coronavirus primo caso codogno scienziati in laboratorio analizzano virus
All’ospedale di Codogno, in provincia di Lodi, venne riscontrato il paziente uno del coronavirus © Sylvain Lefevre/Getty Images

Il 23 febbraio viene accertato il primo caso di Covid-19 nell’ospedale di Alzano Lombardo. Immediatamente il direttore medico Alberto Marzulli dichiara la chiusura del Pronto soccorso, per evitare la diffusione del contagio. Appena quattro ore dopo, probabilmente dopo un vertice tra la direzione generale dell’azienda ospedaliera la Regione, però arriva la marcia indietro: il Pronto soccorso riapre, il contagio dilaga, perché si era ancora agli inizi e non era stato ancora approntato il sistema dei percorsi differenziati tra i Pronto soccorsi Covid e quelli non Covid. In una intervista a Fanpage, Marzulli spiega che “fu una decisione che non condividevo assolutamente”. Questo è il primo punto finito nel mirino dell’inchiesta che indaga l’ipotesi di epidemia colposa.

La mancata zona rossa

Il 27 febbraio, secondo la Fondazione Bruno Kessler di Trento, l’indice di trasmissione del virus nella provincia di Bergamo era di 3,17 con proiezioni al rialzo (come ricordiamo, in seguito fu stabilito il valore di 1 dell’Rt, l’indice di trasmissibilità, come limite per l’entrata in zona rossa). Il Comitato tecnico scientifico però non ritenne di suggerire l’istituzione della zona rossa. Secondo la consulenza resa da Crisanti alla Procura, se si fosse dichiarata la zona rossa in quel giorno, si sarebbero potuti evitare 4.148 morti per Covid. 

Codogno- Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Cimitero di Codogno depone una corona di fiori in ricordo dei caduti per Covid 19, oggi 2 giugno 2020..
(Foto di Paolo Giandotti – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Il 3 marzo il Comitato tecnico scientifico emette il seguente parere sui comuni di Alzano Lombardo e Nembro, dopo aver preso visione dei dati provenienti dall’Istituto superiore di Sanità: “Al proposito è stato sentito per via telefonica l’assessore Gallera e il dg Caiazzo della Regione Lombardia, che confermano i dati relativi all’aumento nella regione e, in particolare, nei due comuni menzionati”. La proposta fu “di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei Comuni della zona rossa anche in questi due comuni al fine di limitare la diffusione dell’infezione nelle aree contigue”. L’indicazione della zona rossa per questi comuni non avverrà: sempre secondo Crisanti, fatta questa in data la misura avrebbe comunque evitato 2.659 morti.

Solamente il 9 marzo 2020 il governo istituì la prima zona arancione rinforzata in tutta la Lombardia, ma senza chiudere le attività produttive, che andarono avanti normalmente fino al 23 marzo, quando ci fu il provvedimento delle chiusure degli esercizi in base ai codici Ateco. Questo è il secondo punto dell’inchiesta.

Archiviate le accuse sulla gestione nazionale della pandemia

Nel frattempo, nel tardo pomeriggio dell’8 marzo il Tribunale dei ministri di Roma ha archiviato le accuse per epidemia colpose che già avevano riguardato l’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, e con loro diversi ministri del governo in carica al tempo (Luciana Lamorgese che era agli Interni, Roberto Gualtieri all’Economia Luigi Di Maio agli Esteri, Lorenzo Guerini alla Difesa): secondo il tribunale infatti “in nessun modo l’epidemia può dirsi provocata dai rappresentanti del governo”. L’inchiesta, che risale al 2021, riguardava la gestione iniziale della pandemia a livello nazionale, al contrario di quella della Procura di Bergamo che indaga solo su quanto avvenuto in Lombardia: due storie diverse, ma è possibile che la prima posso influire sull’esito della seconda, quantomeno come linea di indirizzo.

Il piano pandemico non aggiornato

Il terzo punto riguarda il piano pandemico di cui l’Italia si era dotata: era fermo al 2006, nonostante il Regolamento sanitario internazionale dell’Oms imponesse verifiche e aggiornamenti del piano almeno ogni 5 anni. Una inadempienza molto grave sul piano giuridico ma anche sul piano pratico, considerando che, come scrive l’ex generale dell’Esercito Pier Paolo Lunelli in un documento messo agli atti dell’inchiesta, il primo corso di contact tracing, poi diventato fondamentale per il contenimento della epidemia e poi della pandemia, fu svolto solamente nell’ottobre del 2020: otto mesi dopo lo scoppio dell’emergenza.

L’8 marzo la parte dell’inchiesta relativa al piano pandemico è stata trasferita dalla Procura di Bergamo a quella di Roma,  che se ne occuperà per “competenza territoriale”, dal momento che riguarda fatti avvenuti (o meglio non avvenuti, visto che si tratta di un non-aggiornamento) presso il ministero della Salute. La Procura di Roma, come primo atto, ha allargato la platea degli iscritti nel registro degli indagati anche ai due ministri della Salute precedenti a Roberto Speranza, ovvero Giulia Grillo e Beatrice Lorenzin. In tutto, sono 13 gli indagati per questo filone di inchiesta.

“Da oggi si riscrive la storia della strage bergamasca e lombarda, la storia delle nostre famiglie, delle responsabilità che hanno portato alle nostre perdite. La storia di un’Italia che ha dimenticato quanto accaduto nella primavera 2020, non a causa del Covid19, ma per delle precise decisioni o mancate decisioni”, è il commento dell’associazione dei familiari delle vittime.

Archiviate le accuse sulla gestione nazionale della pandemia

Nel frattempo, sempre nel tardo pomeriggio dell’8 marzo il Tribunale dei ministri di Roma ha archiviato le accuse per epidemia colpose che già avevano riguardato l’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, e con loro diversi ministri del governo in carica al tempo (Luciana Lamorgese che era agli Interni, Roberto Gualtieri all’Economia Luigi Di Maio agli Esteri, Lorenzo Guerini alla Difesa): secondo il tribunale infatti “in nessun modo l’epidemia può dirsi provocata dai rappresentanti del governo”. L’inchiesta, che risale al 2021, riguardava la gestione iniziale della pandemia a livello nazionale, al contrario di quella della Procura di Bergamo che indaga solo su quanto avvenuto in Lombardia: due storie diverse, ma è possibile che la prima posso influire sull’esito della seconda, quantomeno come linea di indirizzo.

 

 

 

Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

L'autenticità di questa notizia è certificata in blockchain. Scopri di più
Articoli correlati