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Il 70% della forza lavoro è femminile, ma sono poche le imprenditrici nel settore dell’ortofrutta. Per la prima volta si presentano sul grande schermo nel docufilm Fertile.
Teresa Diomede è nata a settembre e non ha mai potuto passare il compleanno con suo padre. Aveva una grande rivale che lo teneva lontano, l’uva pugliese, che proprio in quei giorni viene vendemmiata. Quando è cresciuta, tutti si aspettavano, come da tradizione, che sarebbero stati solo i suoi fratelli maschi a mandare avanti l’azienda viticola. Eppure, proprio quel padre ha insistito affinché lei fosse coinvolta. E quando i fratelli si sono separati, è stato sempre lui a incoraggiarla a proseguire da sola. Oggi Teresa, proprietaria dell’azienda Racemus, è uno dei membri più attivi dell’associazione nazionale Le donne dell’ortofrutta, nata a Bologna cinque anni fa.
È anche una delle protagoniste del documentario Fertile di Alessandro Quadretti, che è stato presentato in anteprima stampa al festival Sguardi altrove, dedicato alle prospettive al femminile. Suo padre sarebbe orgoglioso di vederla sul grande schermo? “Penso di sì, di certo non me lo ha mai detto direttamente. Rimaneva un uomo d’altri tempi. Ho scoperto solo dopo la sua morte, da altri colleghi, che parlava di me in questi termini”, racconta al telefono, mentre i suoi filari a Rutigliano, provincia di Bari, sono pronti a fiorire e lei spera in una stagione tranquilla, senza grandi sbalzi di temperature. Un minuto di grandine può rovinare il lavoro di un anno.
Fertile è il primo lungometraggio italiano dedicato al mondo dell’ortofrutta visto dalle donne, un ambito chiave per l’economia del paese con 300mila aziende coinvolte e un export da 5,5 miliardi di euro. Come produttori in Europa siamo secondi solo alla Spagna (dati Macfrut 2022). Un settore che conta il 70 per cento di forza lavoro femminile, nella selezione e nella trasformazione, ma ben poca rappresentanza nei ruoli apicali e manageriali. Nonostante la presenza delle donne in agricoltura sia stata fondamentale nei secoli, nella narrazione rimane da sempre sommersa, come spiega una storica all’inizio del docufilm.
“Questo film nasce da un forte desiderio di sentirsi rappresentate”, spiega il regista Alessandro Quadretti. “Basti pensare che il crowdfunding lanciato dall’associazione ha più che raddoppiato l’obiettivo dei fondi da raggiungere. Ho cercato di mediare con i desideri delle socie, dando vita a un racconto che fosse più umano e biografico che istituzionale. Certo, la frutta e la verdura sono protagoniste, insieme a tutto il territorio italiano, dal radicchio veneto alle melanzane siciliane. E poi ci sono ovviamente le imprenditrici che raccontano la propria storia, inframmezzate da qualche spezzone storico. Ho anche voluto inserire l’intervista a una bracciante: rappresenta una parte importante della forza lavoro femminile”.
Il profondo legame con la terra collega tutte le donne di Fertile, anche quelle come Serena Pittella, che mai avrebbe pensato di appassionarsi all’ortofrutta: “Sono cresciuta a Brescia, figlia di due bancari, e ho studiato marketing. Sono finita nel casertano per amore di mio marito e oggi sono una grande estimatrice del nostro prodotto di punta, la melannurca campana Igp”.
Da responsabile della comunicazione per la società Aop luce, è lei a spiegare come mai la scelta di un documentario: “Siamo circa 130 socie in tutti gli ambiti della filiera, dalla produzione alla distribuzione. Il settore dell’ortofrutta in generale è poco valorizzato, nonostante siano prodotti alla base della nostra alimentazione. Un docufilm permetteva di raccontare la complessità di questo mondo attraverso lo sguardo delle socie, che si fanno portavoce della biodiversità italiana”. Dalla fragola nello champagne di Pretty woman, ai pomodori verdi fritti dell’omonimo film, fino ai tanti mercati spesso presenti nel Neorealismo, se le chiedo una scena cinematografica con un frutto o verdura protagonista? “Penso alla mela lucida di Biancaneve, ben diversa dalle tante varietà che dovremmo rieducarci a mangiare”.
Fertile è un inno alla forza generatrice delle donne e della terra, alla quale dobbiamo tutto, e a storie di famiglia inaspettate, non ultima quella di Serena: “Quando il nostro primo figlio non aveva ancora tre anni, mio marito è stato ucciso da un socio in affari, per questioni mai chiarite. Ero incinta al settimo mese del nostro secondo bambino. Mi sono chiesta se dovessi rimanere in Campania e alla fine ho deciso di farlo. Sono passati otto anni e credo sia stata la scelta giusta: per mio marito questo era un piano di vita, portare qualcosa in un territorio con tanto da dare, ma poca occupazione. L’essenza di quello che lui è stato è in questa terra. Era giusto che i ragazzi crescessero qui”.
Se a loro volta sceglieranno di proseguire con questo percorso, è troppo presto per dirlo. L’avvicendarsi delle generazioni è un passaggio cruciale nell’agricoltura italiana, dove spesso la terra è ereditata dai padri e, a volte, dalle madri. Conservare i saperi del passato, mentre si evolve verso una maggiore innovazione, è la chiave per preservare la biodiversità e risolvere finalmente gli squilibri della filiera. Le nuove generazioni dovranno necessariamente saperlo fare, senza per forza dover rinunciare a tutte le feste di compleanno dei figli.
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