L’assurda voglia di frutta perfetta che danneggia l’agricoltura italiana

Quali sono i danni delle nostre pretese estetiche nei confronti di frutta e verdura al tempo della crisi climatica? La risposta nello studio dell’associazione Terra!

Dove ci porterà la nostra ossessione per la frutta perfetta, omogenea, uniforme, l’idea che pere, mele e arance debbano essere tutte uguali come se fossero uscite da una catena di montaggio? È una delle domande che vengono leggendo l’ultimo rapporto dell’associazione Terra!, intitolato Siamo alla frutta, dedicato alle pretese estetiche di consumatori, supermercati e Unione europea e ai loro effetti sul futuro dei produttori agricoli italiani.

Ci sono una serie di considerazioni da fare. La prima: un frutto ammaccato, pezzato, più piccolo di come è nella nostra immaginazione non è per forza un frutto meno buono o nutriente. La seconda: non solo la natura non è una fabbrica, come ricordano diversi produttori intervistati da Fabio Ciconte e Stefano Liberti (autori del rapporto), ma la crisi climatica in atto porta sempre più frutti ad avere caratteristiche non uniformi. Eppure questa crisi climatica non la vediamo sugli scaffali della grande distribuzione, perché lì la frutta sembra sempre perfetta. Perché? Secondo Terra!, perché una quota sempre maggiore di questa frutta viene scartata alla fonte: i supermercati non la comprano perché noi non la compreremmo, e allora finisce all’industria della trasformazione secondaria (per fare succhi, per esempio), con margini ridottissimi per gli agricoltori, per i quali a volte è più conveniente a quel punto ritirarla dal mercato che venderla.

frutta selezionata
La frutta della maggior parte dei supermercati viene selezionata sulla base estetica © Ingimage

Come funziona il mercato della frutta

Il 2021 è stato dichiarato dalle Nazioni Unite l’Anno internazionale della frutta e della verdura, in Italia il valore di questa produzione è 11,4 miliardi di euro all’anno, è il 23,2 per cento della ricchezza generata dal settore primario e quasi metà viene dalla frutta. È un comparto sempre più in difficoltà a causa di una tempesta perfetta.

Da un lato l’imprevedibilità del clima, estati caldissime con gelate improvvise, come quella dello scorso aprile. Dall’altro regole europee e un sistema di mercato sempre meno adatti a rispondere a questa crisi tutelando l’agricoltura. È la cosiddetta selezione all’ingresso, che divide la frutta per categorie in base ai parametri di un regolamento europeo (543/2011) che stabilisce non solo che la frutta sia sana, priva di parassiti e pulita, ma anche il calibro, il colore e la forma, in base a caratteristiche estetiche non hanno niente a che vedere con la qualità.

In questo modo si crea un doppio binario composto da prodotti ugualmente sani e buoni, frutta di serie A (extra e categoria I) e frutta di serie B (categoria II). Quella di serie B non arriva al supermercato, deve essere introdotta su un mercato secondario dove viene percepita come scarto e dove gli agricoltori non hanno più il potere di fare il prezzo. Quindi l’alternativa è vendere a cifre irrisorie o il macero. Secondo i dati dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare (Ismea), il 57 per cento arriva allo scaffale, il resto va alla trasformazione, viene esportato o ritirato dal mercato.

coltivare frutta
La selezione estetica della frutta danneggia agricoltori e produttori © Ingimage

Ai nostri occhi tutto questo non arriva, perché otteniamo tutta la frutta perfetta che chiediamo, spesso di importazione (con gravi costi ambientali per il trasporto), mentre a soffrire di più di questa situazione sono i produttori italiani. Il rapporto di Terra! interpella anche interlocutori della Gdo (grande distribuzione organizzata, i supermercati), la cui risposta più comune è: non compriamo frutta brutta perché non ha mercato, le persone non la vogliono.

C’è allora un grande tema di educazione a un consumo corretto, basato su dati di realtà (bontà o salubrità) e non solo estetici. Altrimenti filiere di eccellenza hanno un futuro insostenibile davanti a sé: lo studio ne analizza diverse, un caso interessante è quello delle pere in Emilia-Romagna, reduci da annate difficilissime per diversi motivi: la cimice asiatica, la maculatura bruna, le gelate. L’effetto: la perdita di seimila ettari sui 28mila complessivi per quello che è il principale polo europeo delle pere, in ginocchio anche a causa dell’ossessione per la perfezione, che fa ancora più danni su settori in crisi a causa del clima. “La grande distribuzione non prende i frutti più piccoli anche se sono buoni allo stesso modo”, lamentano i produttori intervistati. Un circolo vizioso pericoloso per l’agricoltura, che si replica in tante altre filiere.

Non solo cattive notizie

Ci sono però esempi positivi. Terra! cita il consorzio Melinda, che dal 1989 è riuscito a valorizzare tutta la filiera del Trentino aggregando i produttori, permettendo loro di presentarsi da una posizione di forza sul mercato. Merito anche di un’innovazione sapiente: le mele vengono conservate in un sistema di celle ipogee nell’ex miniera di Rio Maggiore, un esempio unico al mondo di frigorifero naturale. Il consorzio è riuscito a portare sul mercato anche frutti di seconda categoria, con strategie di marketing come la “gemella diversa”, buona ma meno bella. Maria Panariello, nel rapporto, elenca una lunga serie di buone pratiche europee, con catene di supermercati che in diversi Paesi hanno attivato canali di vendita zero spreco per la frutta imperfetta, con ottimi risultati. In Italia c’è la piattaforma CoopNoSpreco, le cui campagne hanno permesso di recuperare (attraverso la piattaforma digitale e un’app) cinquemila tonnellate di prodotti. Obiettivi simili per la campagna 2020 NaturaSì e Legambiente per proporre ortofrutta non standardizzata ma buona e biologica. Sono state vendute 795 tonnellate a prezzi del cinquanta per cento più bassi. Ci sono anche piccole startup, come Bella dentro, che raccoglie la frutta brutta delle aziende su tutto il territorio, lasciando decidere a loro il prezzo di vendita, usando come canali anche ristoranti e gruppi di acquisto solidale.

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