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— Lucia🥷 (@TarikMas7) June 30, 2023
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In Francia la rivolta dopo l’uccisione del diciassettenne Nahel ha provocato danni enormi, figli di una rabbia radicata e profonda.
Nahel è diventato un simbolo. La vicenda del ragazzino appena diciassettenne ucciso a Nanterre, periferia occidentale di Parigi, ha suscitato indignazione non solo nella capitale ma in tutta la Francia. Le “marce bianche” di solidarietà si sono moltiplicate. E spesso, fatalmente, sono sfociate in disordini, in violenti scontri con le forze dell’ordine, nella distruzione di beni pubblici di ogni tipo, nel saccheggio di negozi.
Da Lione a Marsiglia, da Grenoble a Strasburgo, da Reims a Lille, da Tolosa all’intera Île-de-France la Francia si è risvegliata lacerata da notti illuminate solo da auto incendiate e fuochi d’artificio usati come armi. Una Francia dilaniata da una frammentazione sociale che ha raggiunto da tempo un punto di saturazione. Che ha nella geografia concentrica delle banlieues i suoi confini delineati. Che usa i testi rap come fotografie. E che esce dall’oblio solo quando ad attraversare quei confini, a scendere le scale di torri di cemento con vista sul niente, è la rabbia.
Ancorché ingiustificabile, la distruzione dello spazio pubblico come elemento dissociativo tra centro e periferie, tra stato e territorio, tra “noi” e “loro” non è altro che l’espressione di un disagio profondo, radicato, alimentato di giorno in giorno. Troppo spesso dimenticato negli angoli morti degli indicatori sociologici ed economici. E che trascina soprattutto i giovanissimi: “Sono dei ragazzini della stessa età di Nahel – ha spiegato il sociologo Fabien Truong, intervistato dal quotidiano Le Monde -. Reagiscono in maniera intima e violenta per una ragione semplice: quella morte avrebbe potuto essere la loro. Ciascuno di loro dice a sé stesso: ‘Sarebbe potuto capitare a me’. Perché ogni adolescente di questi quartieri conserva nella memoria ricordi di contrasti con la polizia. Di controlli d’identità sgradevoli e ripetuti sotto casa, umilianti, che generano stress e nutrono, alla lunga, un profondo risentimento”.
Verso lo stato e verso chi lo rappresenta. A cominciare dagli agenti: quegli stessi poliziotti e gendarmi che le Nazioni Unite hanno attaccato in modo frontale all’indomani dell’uccisione di Nahel. “La Francia deve affrontare dei profondi problemi di razzismo all’interno delle forze dell’ordine”, ha tuonato l’Alto commissariato per i Diritti umani. Una presa di posizione durissima, insolita nei confronti di una nazione occidentale e teoricamente “evoluta”.
La polizia francese è di fatto accusata di praticare una logica del sospetto, che diventa metafisica ed esistenziale per chi la subisce. Perché i ragazzini delle banlieues si sentono controllati non per ciò che fanno ma per ciò che sono. E questo non può che lasciare tracce profonde.
Lo scontro, in qualche misura, appare in questo senso inevitabile. Bilancio dell’ultima rivolta in ordine di tempo: danni e scontri sono stati registrati in almeno 220 comuni in tutta la Francia. Secondo la Medef, la Confindustria francese, benché sia ancora presto per fornire cifre, il totale dei danni causati dalla rivolta “potrebbe superare il miliardo di euro”. Più di 200 negozi sono stati totalmente svaligiati. Circa 300 filiali di banche distrutte. Stessa sorte per 250 tabaccai. Circa cinquemila tra automobili e camion sono stati dati alle fiamme. Così come centinaia di commissariati della polizia e caserme della gendarmerie. Impossibile recensire tutti i danni materiali a mezzi di trasporto, pensiline, uffici ed edifici pubblici.
Nella notte tra sabato e domenica, un’auto incendiata è stata lanciata contro l’abitazione di Vincent Jeanbrun, sindaco di L’Haÿ-les-Roses, nel dipartimento della Val-de-Marne, mentre nella casa erano presenti la moglie e i due figli. La procura ha aperto un’inchiesta per tentato omicidio.
Più di tremila persone sono state fermate, interrogate e arrestate. Alcune di loro, quelle colte in flagrante mentre saccheggiavano i negozi, sono già state condannate. Successivamente, il ministero dell’Interno ha scelto la via della militarizzazione del territorio. Per più notti consecutive in tutta la Francia è stata dispiegata una forza imponente: 45mila uomini. Più tutti i mezzi messi loro a disposizione.
Tutto questo perché Nahel è stato ucciso. A diciassette anni. Per essersi rifiutato di obbedire ad un ordine impartito da un poliziotto. Giocava a rugby, Nahel. Era noto ai servizi della polizia. Ma era anche accompagnato dall’associazione Ovale Citoyen in un programma specifico per adolescenti. Jeff Puech, il presidente, ha parlato di “un ragazzino che si era servito dello sport per affrancarsi”. Per uscire da quel mondo in cui sei giudicato per ciò che sei e non per ciò che fai.
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