Il Giappone ha massacrato 122 balene incinte, in nome della ricerca

Durante la spedizione nell’oceano Antartico della scorsa estate le baleniere giapponesi hanno ucciso 333 balenottere, 122 erano femmine gravide.

A dispetto della moratoria emessa dalla Commissione baleniera internazionale (Iwc) nel 1986, delle leggi, del forte dissenso dell’opinione pubblica mondiale, del fatto che ormai solo un’esigua parte della popolazione giapponese continui a mangiare carne di balena, il Giappone continua ad uccidere balene, con il solito, stantio, pretesto della “ricerca scientifica”. Come se non bastasse l’ultima battuta di caccia, effettuata la scorsa estate nell’oceano Antartico, è stata, se possibile, ancora più violenta e raccapricciante del solito. Delle 333 balenottere minori (Balaenoptera acutorostrata) uccise, infatti, 181 erano femmine, delle quali 122 gravide, mentre 114 erano esemplari giovani e ancora immaturi.

Balenottera minore mentre salta fuori dall'acqua
Il rapporto del comitato scientifico della Commissione baleniera internazionale afferma che undici balenottere inseguite dai giapponesi sono riuscite a scappare prima di essere colpite, facendo perdere le proprie tracce tra i ghiacci © Tom Benson/Flickr

Uno sterminio scientifico

Lo ha rivelato un rapporto redatto dal comitato scientifico della Commissione baleniera internazionale. “Il tasso di gravidanza apparente degli animali campionati era elevato (95,3 per cento)”, si legge nel rapporto. I cetacei sono inoltre stati uccisi con arpioni con punte munite di granate esplosive, un metodo controverso visto che l’animale muore sul colpo solo dal 50 all’80 per cento delle volte. L’obiettivo dei ricercatori giapponesi sarebbe stato quello di acquisire dati sull’età, le dimensioni e le abitudini alimentari delle balenottere che nuotano tra l’Australia e l’Antartide.

Carne di balena in vendita al mercato
Ormai la maggior parte dei giapponesi, in particolare i giovani, non vuole più mangiare carne di balena. Si stima che circa tre quarti della carne di balena pescata rimangano invenduti e la maggior parte finisca nel cibo per animali doemstici © Ingimage

Violenza innecessaria

La notizia ha suscitato le proteste di molte organizzazioni conservazioniste, “l’uccisione di 122 balene in stato di gravidanza è una statistica scioccante ed evidenzia la crudeltà della caccia alle balene in Giappone – ha dichiarato Alexia Wellbelove della Humane Society International. – È un’ulteriore dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, della natura veramente raccapricciante e non necessaria delle operazioni di caccia alla balena, specialmente quando le indagini non letali si sono dimostrate sufficienti per la ricerca scientifica”.

Il Giappone se ne frega

Nonostante le proteste e la temporanea sospensione della caccia ordinata dalla Corte internazionale di giustizia nel 2014, il Paese nipponico ha dichiarato di non riconoscere l’autorità della corte e ha presentato nel 2015 un piano che prevedeva l’uccisione di circa quattromila balenottere in dodici anni, un numero inferiore a quello fissato precedentemente, ma ancora troppo elevato per gli oppositori.

Dorso di una balenottera minore che emerge dall'acqua
La caccia commerciale alle balene è illegale dal 1986, il Giappone si è però appigliato alla scappatoia della caccia per scopi scientifici © Michael Heiman/Getty Images

L’Australia non ci sta

La controversia tra Australia e Giappone continua ormai da anni, le baleniere giapponesi vanno infatti a caccia di balene nel Santuario dei cetacei dell’Oceano Antartico, con grande disappunto del governo australiano. Nel 2008 l’Australia ha denunciato il Giappone alla Corte internazionale di giustizia, intimandolo di cessare la caccia entro la zona economica esclusiva dell’Australia, il Giappone dal canto suo ha ignorato la denuncia non riconoscendo la sovranità dell’Australia sulle acque contestate. “Il governo australiano è profondamente deluso dal fatto che il Giappone continui a intraprendere la cosiddetta caccia “scientifica” alla balena e continuerà a esporre le proprie rimostranze”, ha affermato il ministro australiano dell’Ambiente e dell’Energia Josh Frydenberg.

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