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Bohemian rhapsody è il film sulla storia dei Queen che è valso a Rami Malek l’Oscar come miglior attore protagonista per la sua interpretazione di Freddie Mercury. Dopo averlo visto abbiamo intervistato un infettivologo che ci ha spiegato quanto siano migliorate le cure per l’Aids.
“Avrei voluto essere lì, tra la folla”. È questo il pensiero che sorge spontaneo mentre sullo schermo scorrono le ultime immagini di Bohemian rhapsody, il film che racconta la storia dei Queen. E che si conclude con il ricordo del Live aid, concerto di beneficenza a cui parteciparono le più grandi band degli anni Ottanta, considerato da molti il migliore di tutti i tempi. 72mila persone ebbero la fortuna di assistervi a Londra, altre 100mila a Filadelfia. Era il 13 luglio del 1985. E Freddie Mercury diede tutto sé stesso sul palco.
Del resto, era ciò che più desiderava. Ad ogni concerto “faceva l’amore” col pubblico, bramava con ogni fibra del suo corpo soddisfare i suoi fan. Voleva diventare una leggenda, e sapeva che ci sarebbe riuscito. Era sicuro che la sua luce non sarebbe stata la stessa senza Bryan May, Roger Taylor e John Deacon, ma per un po’ sentì la necessità di brillare da solo. Con loro lo fece fino alla fine, sperimentando come nessuno forse aveva mai osato prima, regalando al pubblico brani del tutto innovativi, performance che riuscivano ad essere spontanee ma perfette al tempo stesso. Un po’ come lui, teatrale e memorabile, sul palco dimenticava qualunque insicurezza. E Rami Malek, l’attore che l’ha interpretato nel film Bohemian Rhapsody, è riuscito ad immedesimarsi nella sua storia tanto da meritarsi il premio Oscar 2019 come miglior attore protagonista.
Bohemian Rhapsody è stato proiettato in anteprima mondiale il 23 ottobre alla Wembley arena, a Londra, di fronte al Wembley stadium dove si tenne il Live aid. Gli incassi sono stati devoluti alla Mercury Phoenix trust, l’organizzazione fondata da Bryan May, Roger Taylor e dal loro manager Jim Beach per la lotta all’Aids – che nel 1991 condusse il frontman alla morte. Il film è uscito nelle sale italiane il 29 novembre, poco prima della Giornata mondiale contro l’Aids del primo dicembre. Abbiamo approfittato di quest’occasione per intervistare il dottor Diego Ripamonti, che lavora presso le malattie infettive dell’ospedale di Bergamo – asst Papa Giovanni XXIII ed ogni giorno si prende cura dei pazienti affetti da Hiv.
World AIDS Day: Street Collection and @BAHQ_official Live!https://t.co/huHqmmQjg8 pic.twitter.com/OVrsM36PSW
— MercuryPhoenixTrust (@The_MPT) 26 novembre 2018
“Sicuramente, il virus nel mondo è ancora diffusissimo e milioni di individui ne sono affetti; molti non sanno di esserlo. In Italia i malati sono circa 120mila – è soltanto una stima, ovviamente – e sono circa quattromila le persone che ogni anno scoprono di essere sieropositive”, spiega Ripamonti. “Da una malattia pressoché invariabilmente mortale, però, si è ormai da tempo passati ad una malattia cronica. Ci sono degli ottimi farmaci a disposizione, grazie ai quali l’aspettativa di vita è simile a quella della popolazione sana.
Negli anni i progressi farmacologici sono stati veramente imponenti: se nel 1996 il numero di compresse che il paziente doveva prendere ogni giorno era superiore a dieci, oggi è possibile, nella maggior parte dei casi, assumere soltanto una o due compresse al giorno e condurre una vita del tutto normale”. Inoltre esiste una strategia chiamata PrEP che impiega un farmaco il quale riduce enormemente – ma non azzera – il rischio di essere contagiati dall’Hiv, ma non è in grado di prevenire le altre malattie a trasmissione sessuale (come sifilide o gonorrea).
Ciò che è davvero importante ricordare, però, è che se il paziente assume correttamente la terapia, la sua contagiosità diventa pressoché nulla. Inoltre “se la donna con infezione da Hiv assume la terapia durante la gravidanza, quasi certamente il bambino sarà sano”, assicura l’infettivologo. Ecco perché il test è fondamentale: “Non bisogna aspettare di ammalarsi per farlo. Va considerato come un esame di prevenzione, al pari di pap-test, mammografia o colonscopia”. Per di più non è assolutamente necessario parlarne col proprio medico: si può comprare il test in farmacia e farlo a casa – è molto affidabile – oppure effettuarlo in forma anonima e gratuitamente presso un centro malattie sessualmente trasmesse.
“Il vaccino, che ancora non è disponibile, è la vera soluzione per chi non è contagiato”, conclude Ripamonti. “La ricerca è sempre attiva”. Non ci si arrende, dunque, ma si cerca di progredire sulla base dei tanti miglioramenti che già sono stati compiuti nel trattamento di una malattia che ancora oggi non siamo riusciti a sconfiggere.
We are the champions, my friends and we’ll keep on fighting till the endFreddie Mercury
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