
Ha dato il via ai concerti ad alta quota ben 28 anni fa distinguendosi sin dall’inizio per il rispetto delle terre alte. Sancito anche da un manifesto.
Migliaia di canzoni popolari registrate nel mondo dall’etnomusicologo Alan Lomax sono accessibili online nel nuovo sito interattivo The Global Jukebox.
L’archivio sonoro del grande etnomusicologo Alan Lomax, The Global Jukebox, è diventato un sito internet interattivo che consente a chiunque di accedere a 6.000 canzoni tradizionali provenienti da più di mille culture diverse. Il risultato della missione di una vita, quella di Lomax: documentare e archiviare le radici culturali americane e del mondo.
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Musica e canto, danza, arte e poesia, ma anche lingua, racconto e mito, la sapienza trasmessa per via orale in ogni paese, sono l’immenso patrimonio culturale raccolto in sessant’anni di lavoro da Alan Lomax, a partire dalle prime esplorazioni musicali negli anni Trenta col padre, John Avery Lomax, fino alla sua morte nel 2002.
Ma se ad Alan si deve la scoperta, tra gli altri, di leggende del blues, del folk e del jazz come Muddy Waters, Woody Guthrie, Pete Seeger, Lead Belly e Jelly Roll Morton, a sorprendere sono le sue registrazioni sul campo fatte negli angoli più reconditi del pianeta, dalle isole britanniche caraibiche ad Haiti, dal Sud America fino all’Italia e alla Spagna, paese poco consapevole di un tesoro chiamato flamenco.
Tutto il materiale accumulato da Lomax è custodito dall’Association for Cultural Equity (ACE) che lui stesso fondò nel 1986 per conservare e tramandare quella che definiva “un’esperienza del nucleo dell’esistenza”, lo stile adattivo della cultura che permette ai popoli di coesistere.
Come il suo collega britannico Hugh Tracey, Lomax non considerava la cultura come un’attività economica, razziale o di casta, bensì le culture quali espressioni locali dell’umanità condivisa in un mondo interrelato. E soprattutto riteneva che la musica, la danza e il folclore di tutte le tradizioni avessero uguale valore (equità culturale) e fossero essenziali per la sopravvivenza umana così come la biodiversità.
The Global Jukebox è un progetto che risale agli anni Sessanta, quando Lomax iniziò a lavorare con l’antroplogo Conrad Arensberg alla Columbia University per studiare le arti espressive con strumenti scientifici e tecnologie emergenti. Immaginò un archivio globale per classificare e memorizzare musiche e danze tradizionali con dati antropologici, ma fino agli anni Novanta funse soltanto da deposito digitale di musica.
“Il progetto era troppo ambizioso all’epoca – ha spiegato al New York Times la ricercatrice dell’ACE Kathleen Rivera – e Lomax trascorreva intere giornate su sistemi di calcolo, ma la sua visione non corrispondeva alla tecnologia informatica che in quel momento aveva a disposizione. Oggi il sistema è accessibile a tutti”.
La digitalizzazione delle registrazioni di Lomax, custodite presso la Biblioteca del Congresso di Washington, ha portato solo oggi al lancio di The Global Jukebox come sito interattivo, dove poter accedere a dettagli della musica popolare di varia provenienza e a dati tecnici descrittivi per ogni brano. Il portale è organizzato per mappa e per cultura e si basa su un sistema di analisi cantometrico–coreometrico, in pratica un tentativo di codificare le società umane in base al diverso modo in cui ciascun popolo canta e balla.
Commissionato dalla Bbc e dalla Columbia World Library, nel 1954 Lomax fece un viaggio in Italia insieme al ricercatore Diego Carpitella. Sette mesi in giro dal nord al sud della penisola, percorrendo 40mila chilometri, a effettuare registrazioni su nastro negli ambienti rurali, per le strade, sulle piazze e nelle case di paese, catturando i repertori canori e musicali dei pescatori siciliani, i cori dei vendemmiatori piemontesi e dei montanari dell’Appennino tosco-emiliano.
Secondo Lomax la tradizione musicale italiana era la più interessante d’Europa, come emerge dal libro autobiografico L’anno più felice della mia vita e nella serie di dischi Italian Treasury. Come ricorda la figlia Anna Lomax Wood, “il paesaggio sonoro italiano era il più ricco, vario e originale da lui mai incontrato”.
L’eredità lasciata da Alan Lomax è inestimabile per chiunque voglia costruirsi un albero genealogico culturale, anche solo attraverso una playlist di canzoni della propria terra d’origine. La sua figura è arrivata perfino nello spazio: consulente di Carl Sagan per la raccolta audio che accompagnò la sonda Voyager della Nasa nel 1977, Lomax fece in modo che il “jukebox stellare” contenesse il blues e il jazz di Blind Willie Johnson e Louis Armstrong, i flauti peruviani e i canti Navajo, il lamento di un minatore siciliano, la musica vocale polifonica dei Mbuti dello Zaire e dei georgiani del Caucaso, oltre a Bach, Mozart e Beethoven.
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