
D’ora in poi l’università di Oxford non investirà più nei combustibili fossili, ma solo nelle società che si impegnano seriamente per la decarbonizzazione.
Il World economic forum 2020 punta sulla sostenibilità, ma per Greenpeace sconta una contraddizione: le banche presenti finanziano ancora carbone e petrolio
“Azionisti di un mondo connesso e sostenibile”: è questo il titolo della cinquantesima edizione del World Economic Forum di Davos, che porta i potenti della Terra in Svizzera da martedì 21 a venerdì 24 gennaio. Negli auspici degli organizzatori, il meeting darà un contributo concreto al cammino tracciato dall’Accordo di Parigi e dagli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu. Si spiega così il risalto dato alla presenza di Greta Thunberg, annoverata tra gli ospiti d’onore alla pari del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e della neo-presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde.
Fin qui, i propositi. Ma Greenpeace avverte: a dibattere sul futuro sostenibile del Pianeta ci sarà anche chi continua a foraggiare carbone e petrolio a suon di miliardi. Parliamo di banche, compagnie di assicurazione e fondi pensione. Insomma, coloro che avrebbero il potere economico per cambiare davvero le cose, ma preferiscono restare ancorati a un modello di sviluppo anacronistico e deleterio.
L’organizzazione ambientalista mette bene in chiaro i numeri nelle pagine del report “It’s the finance sector, stupid”, pubblicato in contemporanea all’apertura dei lavori. E sono numeri che fanno pensare. Come svela lo studio Banking on climate change, le 24 banche attese a Davos hanno erogato oltre 1.260 miliardi di euro di finanziamenti all’industria dei combustibili fossili. Tutto questo in appena tre anni, dalla firma dell’Accordo di Parigi alla fine del 2018. È l’equivalente della ricchezza che la metà più povera della popolazione globale si è dovuta spartire nel 2018.
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I primi dieci istituti di credito della lista, da soli, superano i 900 miliardi di euro: una somma che sarebbe sufficiente per assicurarsi 640 GW di energia solare, cioè più del doppio dell’attuale capacità installata in tutto il mondo. Per usare un termine di paragone diverso, 900 miliardi di euro è il valore monetario dei rischi che le 215 più grandi aziende globali si preparano ad affrontare nei prossimi cinque anni. Rischi legati esclusivamente al violento impatto dei cambiamenti climatici.
Davos 2020 will be carbon neutral: here’s how https://t.co/RFgIj2D0uh #wef20 pic.twitter.com/mP7O3s7aXN
— World Economic Forum (@wef) January 21, 2020
Ma a Davos non ci sono soltanto banche. A giocare un ruolo cruciale nel settore finanziario sono anche i fondi pensione, che si stanno mostrando parecchio timidi sul fronte del clima. L’Asset Owners Disclosure Project ha preso in esame i cento fondi pubblici più grandi al mondo, scoprendo che l’87 per cento dei loro asset non è stato sottoposto a una valutazione formale dei rischi climatici. Come se non bastasse, a ottobre 2018 soltanto una quindicina di loro avevano escluso il carbone dai propri investimenti. I tre che erano presenti a Davos lo scorso anno detenevano almeno 23 miliardi di euro in quote dei colossi petroliferi, o delle banche che li finanziano.
Infine, le assicurazioni. A Davos ne sono attese cinque; le stesse che Greenpeace, riprendendo una graduatoria di UnfriendCoal, definisce come “le peggiori” per la loro scelta di assicurare il carbone. In questo gruppo, soltanto una ha promesso di disinvestire dai combustibili fossili, pur continuando a fornire una copertura assicurativa a diverse centrali a carbone attive.
The banks, insurers and pension funds that go to the #WorldEconomicForum in #Davos are culpable for the #ClimateEmergency: https://t.co/ljNcLlZDJq #WorldEconomicFailure
— Jennifer Morgan (@climatemorgan) January 20, 2020
Durissime le dichiarazioni di Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International: “Le banche, le assicurazioni e i fondi pensione qui a Davos sono colpevoli dell’emergenza climatica. Nonostante tutti gli avvertimenti di carattere ambientale ed economico, stanno alimentando un’altra crisi finanziaria globale con il loro sostegno all’industria dei combustibili fossili. Questi uomini d’affari a Davos non sono altro che ipocriti: a parole dicono di voler salvare il Pianeta, ma coi fatti lo stanno uccidendo per i loro profitti nel breve termine”.
D’ora in poi l’università di Oxford non investirà più nei combustibili fossili, ma solo nelle società che si impegnano seriamente per la decarbonizzazione.
Oltre 2.500 miliardi di euro: sono i soldi che le grandi banche hanno iniettato nel settore delle fonti fossili dalla firma dell’Accordo di Parigi al 2019.
Lo sponsor di Roger Federer è una banca che finanzia i combustibili fossili. Finito nel mirino degli ambientalisti, il campione promette di intervenire.
La banca centrale inglese introdurrà gli stress test climatici, per capire se banche e assicurazioni siano in grado di reggere agli shock ambientali.
Rispettare l’Accordo di Parigi e favorire gli investimenti per il clima. Secondo centinaia di investitori, queste devono diventare le priorità dei governi.
Dalla fine del 2021, la Banca europea per gli investimenti non finanzierà più carbone, petrolio e gas naturale. Una svolta storica, molto attesa da istituzioni e società civile.
Solo il 9 per cento delle aziende più inquinanti ha fissato obiettivi coerenti con l’Accordo di Parigi. I loro azionisti avvertono: “Non è abbastanza”.
Il più grande sistema di università pubbliche d’America ha deciso di sbarazzarsi dagli investimenti in carbone e petrolio: sono un rischio, anche economico.
I rinoceronti neri sono in pericolo, ma si fatica a trovare risorse per i costosi progetti di salvaguardia. Allora entra in gioco un’assoluta novità nel mondo della finanza: il bond rinoceronte.