Un aumento del 30% rispetto all’anno precedente, che risente anche delle conseguenze dei cambiamenti climatici.
I guardiani della foresta, la tribù amazzonica che protegge gli alberi con la forza
Tecniche di guerriglia e tecnologia, la tribù Ka’apor ha deciso di agire in prima linea per fermare il disboscamento illegale del suo territorio.
La deforestazione in Amazzonia, l’ecosistema più ricco di biodiversità al mondo, è in calo ma riguarda ancora ampie aree di foresta. Il disboscamento illegale nella riserva indigena dell’Alto Turiaçu, nello stato brasiliano di Maranhão, si può però pagare a caro prezzo. I taglialegna corrono infatti il rischio di essere catturati, spogliati, picchiati e veder dati alle fiamme camion e attrezzi.
Nella giungla si muovono infatti invisibili come fantasmi numerosi uomini che lottano per proteggere il territorio, sono i Guardiani della foresta. Questa particolare milizia è composta dai membri della tribù Ka’apor, comunità indigena che da secoli vive in comunione con la Foresta Amazzonica e che dal 2011 ha deciso di impugnare le armi per difendere il proprio territorio dalla deforestazione illegale.
Per proteggere la foresta i nativi usano armi tradizionali come arco e frecce e borduna , una sorta di incrocio tra spada e bastone, ma anche strumenti tecnologici come telecamere dotate di sensori termici e di movimento e Gps per monitorare il passaggio dei camion.
“Abbiamo deciso di intervenire perché la foresta è la nostra casa, dobbiamo difenderla a ogni costo”, ha dichiarato uno dei leader Ka’apor che ha chiesto di restare anonimo per motivi di sicurezza.
È infatti una missione pericolosa quella che si sono prefissi i Guardiani della foresta, dal 2011 quattro membri della tribù sono stati uccisi e molti altri hanno subito minacce e intimidazioni.
Tra le vittime figura Eusébio, uno dei capi della rivolta Ka’apor, ucciso lo scorso maggio da un colpo di arma da fuoco. Il governo brasiliano ha rivendicato il proprio ruolo condannando la giustizia sommaria della milizia, i nativi d’altro canto imputano allo stato di averli abbandonati, accusano anzi le attività di ufficiali della polizia collusi con i trafficanti di legname.
“Siamo costretti a usare la violenza – ha spiegato uno dei Guardiani – lo stato ci ha abbandonati e non possiamo permettere che il nostro territorio venga venduto per degli affari privati”. Di solito i taglialegna vengono prima ammoniti e invitati a non tornare, se non seguono il consiglio vengono spogliati e picchiati.
L’aggressiva tecnica di conservazione della foresta intrapresa dai Ka’apor può far discutere, ma è il frutto di una situazione disperata. Nonostante il Brasile abbia incrementato la protezione dell’Amazzonia, la riserva dell’Alto Turiaçu è sempre più vulnerabile a causa delle pressioni dei taglialegna appartenenti alla cosiddetta mafia del legno e dei cacciatori.
Non sentendosi tutelati dal governo che dovrebbe proteggere i suoi cittadini e le sue inestimabili foreste, i Ka’apor hanno deciso di difendere in prima persona la foresta dei loro antenati per tramandarla ai propri figli.
I membri della comunità indigena possono però contare sull’aiuto di Greenpeace Brasile che ha affiancato i Ka’apor nel lavoro di mappatura della foresta, fornendo ai Guardiani della foresta la strumentazione tecnologica.
“Finora il popolo Ka’apor ha potuto contare solo sulle proprie risorse per difendere il territorio e la sua stessa sopravvivenza – ha affermato Martina Borghi di Greenpeace Italia. – Noi abbiamo offerto supporto tecnologico, ma purtroppo ancora non basta. È necessario che il governo brasiliano protegga i Ka’apor”.
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