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Quando ci si domanda se investire i propri risparmi per il bene del Pianeta, la domanda è sempre la stessa: conviene? Rispondono gli addetti ai lavori.
C’è ancora chi crede che gli investimenti sostenibili, a livello puramente monetario, siano un sacrificio. Ma questo falso mito resiste (a stento) soprattutto tra i non addetti ai lavori. Chi ha già investito i propri risparmi (grandi o piccoli) in modo etico e sostenibile, di norma, è più che soddisfatto dei propri rendimenti. Lo dimostrano le parole dei 246 soggetti (tra fondazioni e family office) intervistati dal report “Investing for global impact”.
Tra le varie tipologie di finanza sostenibile, il report si concentra sull’impact investing. Ciò significa che gli investitori non si limitano a escludere settori poco etici (armi, tabacco, pornografia e così via), ma vogliono ottenere un impatto positivo concreto e misurabile sul pianeta.
Per il 75 per cento degli intervistati, l’impact investing ha raggiunto ritorni finanziari pari o superiori alle aspettative. Ancora più alta, pari all’88 per cento, la percentuale di chi è soddisfatto dei risultati sociali. Negli ultimi tre anni, tre intervistati su dieci hanno ottenuto un ritorno finanziario compreso tra il 3 e il 5 per cento. Un altro 26 per cento si è portato a casa rendimenti del 6-10 per cento, mentre una percentuale simile ha addirittura superato l’11 per cento. Solo 11 intervistati su 100 hanno subito perdite.
Ancora più rosee sono le previsioni sui rendimenti dei prossimi dodici mesi. Soltanto il 4 per cento degli intervistati si aspetta di rimetterci. Un altro 7 per cento è pronto ad accontentarsi di rendimenti piuttosto magri, compresi tra l’1 e il 2 per cento. Molti di più sono quelli che puntano in alto: il 27 per cento si aspetta un ritorno compreso tra il 3 e il 5 per cento, il 30 per cento mira a un 6-10 per cento e un altro 31 per cento si aspetta di intascare più del 10 per cento.
Come interpretare tutti questi numeri? Innanzitutto, stando agli studiosi che hanno scritto il rapporto, più il settore diventa maturo (e mainstream) più le aspettative aumentano. Un altro tema particolarmente caldo tra gli addetti ai lavori è quello della misurazione dell’impatto sociale. Mentre i rendimenti finanziari sono puramente numerici, e perciò si possono monitorare e analizzare in modo estremamente accurato, i confini dell’impatto sociale sono, per loro stessa natura, molto più sfumati. Il compito a cui è chiamato l’intero settore per i prossimi anni dunque è quello di tradurre tutto questo mondo in indicatori quantitativi, che diventino un vero e proprio standard condiviso. Se le cose andranno così, dicono gli intervistati, molti altri family office e fondazioni troveranno il coraggio di farsi avanti, superando i loro timori nei confronti degli investimenti a impatto.
Anche questi dati sono fanno parte delle anticipazioni, in esclusiva su LifeGate, tratte da “Investing for global impact”, un report realizzato dal Financial Times, in partnership con GIST (Global Impact Solutions Today) e con il supporto della banca britannica Barclays. Lo studio si concentra su due grandi mondi: impact investing e filantropia. Da un lato, quindi, gli investimenti che vogliono ottenere sia un ritorno finanziario sia un impatto sociale e ambientale positivo; dall’altro lato, le attività benefiche a fondo perduto.
Alla quarta edizione, presentata alla fine di marzo a Parigi, hanno partecipato 246 soggetti provenienti da 45 paesi. La ricerca si focalizza su chi gestisce i capitali delle famiglie facoltose: sia le fondazioni sia i family office. Questi ultimi, più noti nel mondo anglosassone che nel nostro Paese, sono società di servizi che forniscono consulenza a una o più famiglie, gestiscono gli investimenti e seguono l’amministrazione e la contabilità.
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