Alex Bellini, esploratore. L’essere umano compie scelte sulla base della convenienza

Come mai l’emergenza climatica non spaventa come quella sanitaria? Cosa impareremo dalla pandemia? E il lavoro da casa possiamo davvero definirlo smart? Sono solo alcune delle domande che abbiamo rivolto ad Alex Bellini, noto esploratore e divulgatore ambientale.

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Alex Bellini ha attraversato due oceani in solitaria a remi. La prima volta partendo da Genova e arrivando a Fortaleza, in Brasile, dopo 227 giorni; la seconda partendo da Lima, in Perù, e approdando a Sydney, in Australia, in 294 giorni. Non solo: ha partecipato a diverse maratone, tra cui una attraverso il deserto del Sahara e un’altra da Los Angeles a New York, e ha anche attraversato il più grande ghiacciaio d’Europa con sci e slitta. Ma Bellini, esploratore e divulgatore ambientale, noto ai più per le sue imprese estreme, non si ferma qui. La sua ultima avventura ha il nobile intento di richiamare l’attenzione su un problema quanto mai attuale: l’inquinamento dei nostri mari a causa della plastica. Si chiama 10 rivers 1 ocean e l’obiettivo è quello di percorrere, su un’imbarcazione realizzata con materiali di scarto, i dieci fiumi più inquinati al mondo e responsabili della quasi totalità della plastica in mare. Ora Bellini è “fermo ai box”, come ci racconta lui stesso, a causa del coronavirus, ma presto tornerà a navigare. Lo abbiamo intervistato.

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Alex Bellini, tu che di periodi di isolamento sei esperto, come hai affrontato il lockdown?
Io, dopo tutto, è una vita che mi alleno all’isolamento. Al di là degli aspetti più complessi, che riguardano l’incertezza – economica per esempio – devo dire che la condizione di isolamento in casa, io e la mia famiglia l’abbiamo vissuta bene. La casa diventa quella zona di comfort in cui ci si può rigenerare, si possono riprogrammare eventi futuri e dove trovare conforto, soprattutto all’inizio. Ora sono un po’ stanco. Le difficoltà che io e mia moglie stiamo incontrando sono quelle di riuscire a gestire con equilibrio ed elasticità la sfera familiare e la sfera educativa delle nostre figlie. Ora l’impegno scolastico è tutto in capo ai genitori e lavorando da casa inizia a mancare un po’ di equilibrio.

Secondo lo scrittore Flavia Troisi, “oggi ci mettiamo la mascherina perché fino a ieri ci siamo messi il paraocchi”. Di cos’è che ci saremmo dovuti accorgere e invece abbiamo ignorato?
Questa citazione l’ho usata in conclusione a un video che ho pubblicato all’inizio del lockdown perché questa pandemia è arrivata per tutti all’improvviso. Qualcuno la considera un cigno nero, cioè un evento catastrofico imprevisto più unico che raro. Però se ripensiamo al pre-pandemia qua e là ci sono elementi che fanno presagire un evento di questo genere. Ne cito due.

Uno è la grande disparità che c’è tra poveri e ricchi nel mondo in generale, naturalmente con le dovute differenze tra Paesi. Le ricerche dimostrano che laddove c’è una forbice molto larga tra super ricchi e super poveri, ecco che l’ambiente viene messo a dura prova, cioè si insiste di più sull’elemento naturale che è già molto compromesso. Quindi nel comprometterlo si crea la condizione ideale per il proliferare di pandemie.

Il secondo è che non abbiamo ancora capito il principio di interconnessione tra uomo e natura: quando si sente parlare di ecologia si ha ancora la tendenza a considerarla come un argomento separato dalla vita quotidiana delle persone. Un’economia che è anche ecologica gli inglesi la definirebbero un nice to have, cioè un’opzione che se c’è va bene, ma ci sono anche cose più importanti. Oggi diventa fondamentale ritrovare un equilibrio nella gestione delle risorse naturali e quindi anche nella protezione dell’ambiente.

Un’altra cosa che ha creato le condizioni perfette è che l’essere umano e gli altri esseri viventi sul pianeta sono costretti a vivere in zone sempre più prossime le une con le altre. I virus sono sempre circolati in natura ma finché c’era un certo grado di separazione tra tali virus e l’uomo, c’era un ostacolo naturale che impediva la trasmissione. Restringendosi gli ecosistemi, distruggendo, bruciando, diverse specie vivono in maniera promiscua.

Secondo te cosa impariamo da questa pandemia?
Io sono ottimista di natura. Sono abbastanza sicuro che l’uomo imparerà, dall’altra parte però c’è qualcosa che mi dice che forse è durata troppo poco: il prezzo che abbiamo dovuto pagare è infinitesimo rispetto a quello che sarebbe potuto accadere. Se non impariamo questa volta, avremo altre opportunità per imparare. Un virus o una pandemia capiterà sicuramente e capiterà sempre più spesso, così come capiteranno sempre più spesso eventi catastrofici naturali, come grande siccità accompagnata da grandi piogge. Qualcosa mi dice che non ce la siamo scampata.

Durante il periodo di lockdown abbiamo tutti sperimentato lo smart working: ma è davvero smart secondo te?
Intanto c’è da fare una precisione: quello che noi chiamiamo smart working, in Inghilterra lo chiamano remote working. L’introduzione dello smart working dovrebbe portarci beneficio su tre livelli: quello sociale, quello dei consumi e quello dell’impatto ambientale. Della gestione dei figli abbiamo già parlato. Dall’altra parte è vero che non ci sono consumi e quindi le aziende per cui le persone lavorano non consumano elettricità negli uffici, non pagheranno le mense, i ticket ristorante. C’è poi la questione ambientale, che è quella che secondo me ogni tanto si travisa: considerando solo la quantità di anidride carbonica che emette il sistema internet, l’Italia sarebbe il quarto paese più inquinante al mondo, dopo Cina, Stati Uniti e un terzo paese che non ricordo. Questo spiega che la strumentazione che ci permette di metterci in collegamento non è gratuita, da qualche parte sono state estratte delle risorse, come gas naturale, carbone, petrolio, per creare energia. E ogni giga di trasmissione dei dati corrisponde a una quantità di CO2 che viene emessa nell’ambiente. Lungi da me dal fare una crociata contro il lavoro da casa. Però oggi consumare meno non è sufficiente, dobbiamo consumare meglio. Se vogliamo davvero imparare qualcosa da questo Covid-19, impariamo a fare i conti con le piccole differenze. L’essere umano per natura consuma, cerchiamo di immaginare quale possa essere la condizione migliore affinché io possa mantenere lo stesso livello di qualità di vita creando però un impatto diverso sull’ambiente. Ci sono fornitori di energia elettrica che fanno neutralizzazione dell’anidride carbonica emessa nell’ambiente.

 

 

 

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Perché l’emergenza climatica non spaventa come quella sanitaria che abbiamo vissuto con la pandemia di Covid-19?
Il tema è concentrarsi sulla percezione del rischio. È tutta una questione di risposta psicologica nei confronti di un rischio. Un rischio nuovo, immediato, che ti porta ad avere dei costi verificabili nel tempo presente, vicino a te e che magari impatta o te direttamente, o le persone a te connesse, spaventa di più di un rischio di cui si parla da tanto tempo, in cui nessuno nella cerchia di amici è stato direttamente coinvolto. In più chi ne pagherà le conseguenze deve ancora nascere.

Però già oggi si vedono i primi effetti dell’emergenza climatica.
Certo, però l’essere umano quando si trova di fronte a una scelta, la fa sulla base di una convenienza. Quanto mi costa cambiare abitudine e qual è il beneficio di adottare la nuova abitudine? Decidere di cambiare abitudini in favore dell’ambiente comporta uno sforzo così alto che il beneficio che ne trae un individuo in questa parte del mondo è minore. Diverso è per un abitante di una piccola isola in mezzo al Pacifico, che ogni anno deve spostare la sua casa dalla riva di un metro e mezzo perché il mare si avvicina. Vai a chiedere a lui la sua disponibilità a cambiare abitudine se questa potesse permettergli di sopravvivere un anno in più su quell’isola. Farebbe di tutto. Qui a Trieste, dove mi trovo ora, costerebbe più fatica, perché il beneficio per me non sarebbe così evidente.

 

 

 

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Come ti immagini il futuro? Secondo te vedremo una crescita post-traumatica collettiva?
In natura nella vita degli uomini succedono della cose, positive o negative, alcune che si possono controllare, altre no. Le cose negative che non possiamo controllare sono appunto questi eventi traumatici. Le ricerche dimostrano che gli esseri umani ogni tanto reagiscono, si trasformano, si adattano agli eventi traumatici in maniera positiva, si fortificano, si irrobustiscono. Questa si chiama crescita post-traumatica.

Ci sono almeno tre aree della nostra vita che potenzialmente potrebbero vedere una crescita di questo tipo. Le relazioni: alla fine di un evento traumatico l’essere umano riscopre il bisogno di stringere relazioni sincere. Poi l’autostima: per quanto apparentemente vivere un evento traumatico riduca l’autostima, superarlo la aumenta, aumenta il senso di valore che diamo a noi stessi. Infine, il senso che diamo alla nostra vita. Ti faccio un esempio molto personale: a 21 anni ho perso mia madre molto velocemente a causa di un tumore. Nel momento in cui la salutavo per l’ultima volta, è come se si fosse innescato in me qualcosa di molto potente che mi ha spinto a prendere la mia vita per le corna e a decidere di renderla una vita degna di essere vissuta.

Nel caso specifico del coronavirus, a livello di collettività non penso si possa verificare, perché il mondo è pieno di stupidi e ignoranti. E mi assumo la responsabilità di questa affermazione. La vita di ciascuno di noi è un viaggio, ma ognuno lo fa come vuole. Oggi c’è chi è alle fasi finali di un lungo viaggio e chi invece ha appena iniziato. Questi ultimi non hanno maturato la stessa saggezza, visione, capacità di connettere che può avere uno che è alla fine del proprio viaggio. Ognuno ha i propri tempi di maturazione che non coincidono necessariamente.

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