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Un’inchiesta di Altroconsumo ha rivelato la presenza di batteri resistenti agli antibiotici nella maggior parte dei campioni analizzati.
Su quaranta confezioni di petto di pollo acquistate in venti punti vendita a Milano e Roma, ben venticinque, il 63 per cento, sono risultate positive ai batteri Escherichia coli resistenti agli antibiotici. È quanto emerso da un’inchiesta condotta dall’associazione di consumatori Altroconsumo, in collaborazione con organizzazioni simili in altri paesi europei.
L’allarme sulla resistenza agli antibiotici negli allevamenti italiani era già stato lanciato da Report lo scorso maggio, la trasmissione condotta da Milena Gabanelli era incentrata sul collegamento tra la crescente resistenza agli antibiotici e gli allevamenti intensivi, evidenziando come l’eccessivo ricorso agli antibiotici abbia prodotto batteri estremamente resistenti su cui nessun farmaco ha effetto. In Italia il 71 per cento degli antibiotici venduti è per uso animale e il nostro Paese è il terzo stato europeo che ne fa il maggior ricorso negli allevamenti.
Trovare batteri nella carne è un fenomeno usuale e solitamente non sono considerati pericolosi perché vengono eliminati con la cottura. Il timore è che questi batteri possano comunque diffondersi nell’ambiente domestico e rappresentare un pericolo per l’uomo. Secondo le indagini di Altroconsumo i batteri sarebbero resistenti agli antibiotici della classe delle cefalosporine, ma non ai carbapenemi. L’antibioticoresistenza rappresenta in ogni caso un problema di salute pubblica di dimensioni globali, che riguarda chiunque, a prescindere se consumi pollo o meno.
I batteri sono in costante evoluzione e possono diventare resistenti agli antibiotici se stanno a lungo a contatto con il farmaco e se questo viene usato eccessivamente (questo vale sia negli allevamenti che per le persone che ricorrono a tali farmaci anche senza prescrizione medica). Una volta diventato antibioticoresistente il batterio trasmette tale caratteristica ad altri batteri dando origine a ceppi resistenti che potrebbero diffondersi in tutto il globo (il batterio passa infatti dall’animale all’uomo che se ne è cibato e grazie all’uomo può spostarsi).
Perché altrimenti questi animali non sarebbero in grado di sopravvivere il (sempre minor) tempo necessario per crescere ed essere macellati. Negli ultimi ottanta anni la crescita dei broiler, ovvero i polli da carne (vi è una distinzione genetica tra polli da carne e galline ovaiole), è raddoppiata grazie alle tecniche di manipolazione genetica. Mentre un tempo un pollo viveva 15-20 anni, oggi vengono macellati mediamente verso le sei settimane e la loro crescita giornaliera è aumentata circa del 400 per cento. La genetica dei polli è stata dunque alterata per produrre quantità sempre maggiori di carne e di uova, questa crescita improvvisa e innaturale impedisce ai polli di mantenersi sani e addirittura di sopravvivere, per questo negli anni Quaranta si iniziarono ad introdurre antibiotici nel mangime dei polli per ridurre l’impatto delle malattie indotte dalla reclusione e dalle terribili condizioni di vita. I “nuovi polli” creati negli allevamenti intensivi sono caratterizzati da muscoli e tessuti grassi che si sviluppano molto più velocemente delle ossa, questo li rende soggetti a fratture, deformazioni e malattie. Si capisce dunque come in questi allevamenti sia assolutamente necessario somministrare dosi massicce di farmaci agli animali per permettergli di sopravvivere il tempo necessario.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità ci sarebbe il rischio di una pandemia mondiale, in cui infezioni comuni curabili per decenni, potranno tornare a essere letali. Contrastare questa pericolosa deriva che ha preso l’industria zootecnica, con il sostegno dell’industria farmaceutica, è possibile e spetta ad ognuno di noi, rinunciando al consumo di animali provenienti da allevamenti intensivi.
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