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Triumphs and Laments è il fregio di 550 metri realizzato dall’artista sudafricano William Kentridge a Roma. Tra apprezzamenti estetici e polemiche logistiche è stato inaugurato con uno spettacolo serale ad ingresso libero.
Non capita tutti i giorni, neppure ai più blasonati degli artisti, di poter disporre di una così singolare “vetrina” espositiva, ovvero di essere invitati ad elaborare un progetto artistico appositamente concepito per i muraglioni del Lungotevere, con tutti i crismi della cosiddetta opera “site specific”.
Triumphs and Laments è un fregio di 550 metri costituito da ottanta figure alte fino a dieci metri, attraverso le quali William Kentridge ha voluto tratteggiare un percorso mitologico sui generis in cui la città di Roma potesse esplorare e riconoscere la propria identità scandita da luci e ombre: dalla Lupa capitolina a Marcello Mastroianni che bacia Anita Ekberg all’omicidio di Remo per mano di Romolo, all’effigie di Garibaldi, da San Pietro al Ghetto Ebraico, sino alle tragiche tappe degli assassinii di Aldo Moro o Pier Paolo Pasolini.
Il celebre artista sudafricano di origine ebraica, classe 1955, ha assunto come decisivo principio ispiratore del proprio lavoro il tema dell’impermanenza e della transitorietà, insito nella natura stessa della tecnica impiegata: le immagini del fregio sono state delineate per sottrazione, cioè ottenute eliminando – entro il perimetro di una serie di stencil preconfezionati dall’autore stesso – la patina biologica di limo ed inquinamento che regolarmente si accumula sul travertino dei muraglioni e che certamente tornerà a depositarsi entro un lasso di tempo stimato tra i 3 e i 4 anni determinando così la progressiva e naturale cancellazione dell’intera opera.
Un metodo che per William Kentridge, protagonista di una concomitante mostra al Macro (museo d’Arte contemporanea di Roma), costituisce ormai una sorta di marchio di fabbrica, egregiamente sperimentato attraverso i suoi famosi disegni di animazione, ma che in questo specifico contesto contribuisce a creare la suggestione di un ornamento evanescente, quasi l’equivalente di un fragile mandala tibetano che temporaneamente si compone sulla città eterna.
Non a caso il fregio di Triumphs and Laments, giunto a compimento dopo una laboriosa gestazione di circa tre anni, rallentata da complicazioni burocratiche varie, è stato inaugurato lo scorso 21 aprile in concomitanza con il cosiddetto “natale di Roma”, ovvero la ricorrenza in cui si commemora la storica fondazione della capitale nel lontano 753 a.C.
La suggestiva serata inaugurale di Triumph and Laments è consistita in una performance teatrale a ingresso gratuito nel corso della quale lo stesso William Kentridge, attingendo ai suoi plurimi talenti di regista d’opera ed ex-attore, ha predisposto un doppio corteo (per l’appunto quello dei “trionfi” e quello dei “lamenti”) di oltre 40 musicisti e vocalist che, su musiche originali di Philip Miller e Thuthuka Sibisi, tra ritmi etnici, citazioni poetiche da Rilke e spettacoli di luci e ombre, hanno fatto rivivere i personaggi dei murales portando in processione gli stencil utilizzati per la loro realizzazione.
Ma l’affollato vernissage è stato condito da un’inattesa polemica rapidamente rimbalzata sui social network. Centinaia di spettatori radunati per assistere allo spettacolo live sull’opposta sponda del Lungotevere Tebaldi, che si estende da ponte Sisto a ponte Mazzini, hanno vivacemente protestato contro un’imbarcazione che ha stazionato in mezzo al fiume, a dieci metri di distanza dai performers, coprendo la visuale al pubblico situato in quel tratto del Tevere: com’è stato poi confermato dagli organizzatori, il barcone –che secondo il programma iniziale avrebbe dovuto posizionarsi altrove– ospitava il gruppo dei finanziatori privati dell’opera.
Un disguido intervenuto peraltro a riaccendere l’allarme di chi teme che il fregio di William Kentridge sarà oscurato dalle bancarelle degli ambulanti che da metà maggio si collocheranno come di consueto a ridosso della banchina.
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