La coesistenza con il lupo parte dalla sua conoscenza

Insieme all’associazione Io non ho paura del lupo scopriamo questo grande predatore e come la convivenza tra la specie e le attività umane è possibile.

“Il lupo c’è, e c’è anche quando non lo vedi”. Siamo nel Centro visite della Riserva naturale regionale dei Gherardi in alta Val di Taro, nel cuore dell’Appennino parmense. C’è profumo di stufa e legna, l’autunno è iniziato da poco ma la nebbia e i colori caldi avvolgono già tutta l’area. Ascoltiamo la voce di Elena Gabbi, custode della riserva, ripercorrere la storia che l’ha portata in questa valle per dedicarsi alla cura degli ambienti montani attraverso la coesistenza della specie umana con le altre. Gabbi è infatti un’allevatrice che con il pascolo del suo gregge contribuisce a conservare la biodiversità delle praterie che si alternano alle aree boschive della riserva. E, proprio come altri allevatori, la sua storia si è intrecciata con quella del lupo.

Io non ho paura del lupo
In Italia il lupo conta circa 3.300 esemplari © Alessandro Barbieri

Io non ho paura del lupo

Le parole di Gabbi rendono chiara una nozione che a volte fatica a diventare coscienza diffusa: in Italia il lupo non sta lentamente facendo ritorno. Il lupo ormai c’è, ed è presente in maniera stabile in tutto il Paese. La sua presenza da sempre porta conflitti, paure e reazioni contrastanti. Emozioni legittime che però unite a una scarsa conoscenza e un’amplificazione errata dei media generano un immaginario distorto.

“In questa valle sembrava che i lupi entrassero dalle finestre”, ricorda Gabbi del contesto e del luogo in cui proprio dieci anni fa è nata l’associazione Io non ho paura del lupo. “In valle c’era una forte tensione e tanto allarmismo. Volevamo fare qualcosa e dare una risposta concreta”, racconta Daniele Ecotti, presidente dell’associazione. “Volevamo iniziare a raccontare questa delicata questione con equilibrio”. Un approccio che ha reso l’associazione un punto di riferimento a livello nazionale, con l’obiettivo fondamentale di contribuire alla conservazione del lupo in Italia attraverso la coesistenza con le attività umane.

Il lupo è un animale molto adattabile e cerca di ottenere il massimo con il minimo sforzo e il minor rischio © Alessandro Barbieri

Il lupo in Italia

Il lupo in Italia (Canis lupus italicus) è una sottospecie unica al mondo, geneticamente distinta da quella europea (Canis lupus lupus), di cui oggi si contano circa 3.300 esemplari in tutta la penisola. Seppur lupi e uomini abbiano condiviso territori per secoli, all’inizio del ‘900 la sua diffusione è stata ridotta drasticamente a causa di una grande persecuzione da parte dell’uomo che l’ha quasi portato all’estinzione. Tra caccia (pensiamo alla figura del “luparo”), avvelenamenti e bracconaggio, la specie contava solo tra i 100 e i 200 esemplari all’inizio degli anni ’70, quando fu avviato il primo progetto, nominato San Francesco, per proteggerlo dall’estinzione. Nel 1971 ci fu infatti il decreto ministeriale Natali, la prima legge italiana per la protezione del lupo, che lo tolse dalla lista degli animali nocivi e ne proibì la caccia e l’avvelenamento. Con questa legge, il lupo divenne una specie protetta.

Si parla di ritorno del lupo perché in Italia e in Europa non è mai stata effettuata alcuna reintroduzione.

Daniele Ecotti, presidente di Io non ho paura del lupo

Negli stessi anni ci sono state reintroduzioni di altre specie come cervi e caprioli, prede del lupo, che ne hanno incentivato il ritorno prima sulla dorsale montana appenninica e poi nei territori più bassi. Il lupo è infatti un predatore che sta al vertice della catena alimentare ed è fondamentale per gli ecosistemi. Contribuisce al loro equilibrio mantenendo stabili i numeri di alcune specie limitando quindi il loro impatto su altre. Pensiamo ad esempio al cinghiale che, senza il lupo, si riprodurrebbe in maniera incontrollata avendo un impatto su molte specie vegetali di cui va ghiotto, come le orchidee e i loro bulbi. “Nell’oasi dei Gherardi ci sono 37 specie di orchidee”, ci spiega sapientemente Guido Sardella, coordinatore della riserva e consigliere dell’associazione. “Alla fine degli anni ’80 due specie di orchidee erano scomparse proprio a causa del cinghiale. Grazie al lupo nell’area ne è tornata una, la Orchis pallens, e abbiamo visto aumentare gli esemplari di altre orchidee rare”.

L’Oasi dei Gherardi, in Alta Val di Taro © Camilla Soldati/LifeGate

Questa è solo una delle tante ricadute positive del lupo nell’ecosistema, che a cascata hanno effetti anche sulle altre specie. “Nello stesso periodo abbiamo osservato anche un aumento delle popolazioni di un coleottero, il cervo volante”, continua Sardella. “Non abbiamo ancora la certezza scientifica del legame, ma è una coincidenza molto interessante”.

Quando la preda del lupo, però, non è più solo il selvatico – ma anche l’addomesticato – inizia il lavoro più complesso seppur non impossibile: quello della coesistenza.

Conoscere il lupo

“Esistono due lupi: quello che vive nei boschi e quello che vive nella nostra testa”, ci dice Francesco Romito, vicepresidente e responsabile della comunicazione dell’associazione, trasmettendo la complessità delle esperienze legate al lupo. “Noi cerchiamo di mettere insieme questi due animali per un racconto che sia fatto di buone pratiche”.

L’associazione Io non ho paura del lupo ha infatti tre aree di intervento: la divulgazione, la mitigazione del conflitto e il monitoraggio.

La prima area, quella della comunicazione e della divulgazione, è il punto di partenza e la base per impostare il resto del lavoro, perché il lupo va spogliato dalle sovrastrutture umane: non è né buono né cattivo, è semplicemente un animale che vuole vivere e che ha un ruolo preciso all’interno dell’ecosistema, e che per forza di cose oggi entra in contatto con le attività umane.

“Il lupo è un animale che va raccontato”

La conoscenza di questo animale diventa quindi fondamentale, da un lato per le persone che possono incrociare il suo cammino frequentando o vivendo le aree naturali che popola. “C’è bisogno di un approccio consapevole alla natura e al selvatico”, spiega Ecotti. “Perché in natura non esiste il pericolo zero. Ma sicuramente esistono delle norme comportamentali che possono minimizzare il rischio. Quindi un po’ di paura del lupo è bene averla, ma deve essere una paura sana e consapevole”. Per questo motivo l’associazione da due anni porta avanti progetti con le scuole (con il progetto Conoscere il lupo) e da dieci anni organizza eventi, escursioni, momenti divulgativi, oltre ad aver pubblicato un libro, a cura di Tommaso D’Errico, e un documentario, proprio per aumentare la cultura su questo tema. “Il linguaggio è molto importante perché non bisogna sminuire né amplificare i rischi della convivenza con il lupo. E questo si fa attraverso la conoscenza. Prima si decostruisce, poi si racconta”.

Dall’altro lato ci sono le persone che condividono con i lupi gli spazi del proprio lavoro, come gli allevatori, che sono i primi colpiti dalle predazioni e quindi un elemento fondamentale all’interno del discorso – e della pratica – della convivenza. Per questo l’associazione fin dalla sua nascita porta avanti attività per la mitigazione del conflitto attraverso un rapporto costante con gli allevatori.

Convivere con il lupo

“In questi nove anni, da quando abbiamo aperto l’azienda agricola che oggi conta circa 350 pecore, non abbiamo avuto nessuna predazione da parte dei lupi, nonostante ci sia un branco stabile in questo territorio”. A raccontarcelo è Gabriele Galli mentre camminiamo in uno dei terreni che compongono i 60 ettari del Podere Bianchi Galli che gestisce insieme a Deborah Bianchi nella valle del Ceno, adiacente a quella del Taro.

L’allevatore Gabriele Galli con due dei sei pastori maremmani © Camilla Soldati/LifeGate

“Questo è stato possibile perché abbiamo attuato fin da subito strategie antipredatorie, che si basano su tre elementi fondamentali: i cani da guardiania, la nostra presenza al pascolo e l’uso di recinzioni elettrificate”, racconta Galli. Strategie certamente faticose e soprattutto onerose, motivo per cui l’associazione Io non ho paura del lupo ha lanciato il Fondo coesistenza, un bando che dà supporto pratico agli agricoltori, soprattutto i più piccoli che non possono usufruire degli aiuti istituzionali, fornendo ad esempio le reti, gli elettrificatori, i vaccini per i cani.

C’è anche un altro progetto, Cani da protezione del bestiame, con cui l’associazione supporta gli allevatori che scelgono i cani da guardiania (principalmente pastori maremmani abruzzesi) come metodo di prevenzione non letale, fornendo cartelli informativi. I cartelli sono un elemento fondamentale per segnalare la presenza dei cani e informare escursionisti e cittadini sul comportamento corretto da adottare, perché spesso si dimentica o non si ha coscienza che i cani da guardiania sono “al lavoro”: proteggono il gregge.

“Coesistere significa essere parte di un sistema e sapere che ognuno di noi ha una piccola fetta di vita da condividere con gli altri”, ci dice Deborah Bianchi mentre ci presenta i sei pastori maremmani che vivono con il gregge. “Coesistere è possibile, faticosamente possibile. Ma non è un’utopia. È un lavoro costante e in continua evoluzione: le strategie che adottiamo non sono fisse né immutabili”. Questo ci fa capire come ogni contesto, ogni realtà, ogni allevatore ha una storia, un ambiente e fattori diversi, che continuano a cambiare nel tempo. Per questo ogni azione di prevenzione va calata su misura, “pennellata” su ogni singola realtà. Senza dimenticare il contesto in cui le attività di allevamento si trovano oggi.

“Non è semplice, ma la coesistenza è possibile anche per chi alleva”.

Il podere Bianchi Galli non subisce predazioni da nove anni © Camilla Soldati/LifeGate

“Il settore oggi è fortemente in crisi per ragioni che non hanno a che fare con la presenza del lupo. La sua presenza, che è un problema, diventa spesso la goccia che fa traboccare il vaso, e diventa il capro espiatorio”, ci racconta Ecotti. “Il problema è a monte e più ampio, soprattutto per le piccole realtà che hanno enormi difficoltà e che stanno sparendo. Per questo le politiche e le associazioni di categoria del settore devono spingere per avere strumenti di prevenzione, per formare, aiutare e seguire le realtà”. Perché nonostante esistano gli indennizzi per risarcire gli allevatori colpiti da predazioni, questi non bastano e l’obiettivo dovrebbe sempre essere quello della prevenzione, per arrivare prima che accadano.

Per questo diventa fondamentale il lavoro di approccio con gli allevatori, che a volte richiede perfino anni per costruire un costante dialogo. “Convivere significa comprendere le istanze di tutti”, racconta Romito. “È cercare di costruire insieme alle comunità un percorso condiviso affinché la gente possa comprendere perché il lupo crea così tanti conflitti e soprattutto perché dobbiamo conservarlo”.

Mentre riprendiamo il cammino di ritorno, Bianchi ci indica un punto al limitare dei loro terreni, dove c’è un fiume. È un punto di passaggio e di abbeveramento per il branco di lupi che ormai loro conoscono bene. “Una parte fondamentale di questa convivenza è anche il monitoraggio: ci permette di conoscere gli animali e capirne i comportamenti territoriali, per minimizzare il conflitto con i nostri animali”.

Io non ho paura del lupo
Daniele Ecotti, presidente dell’associazione Io non ho paura del lupo © Camilla Soldati/LifeGate

Il monitoraggio e i dati sul lupo

L’associazione Io non ho paura del lupo dedica buona parte delle proprie attività al monitoraggio sul campo – è la sua terza area di intervento. Avviene principalmente attraverso foto e videotrappolaggi che consentono di conoscere il lupo (e non solo), come sta, se si riproduce, i suoi cuccioli. “È un lavoro che ovviamente ha dei limiti e che quindi richiede un grande sforzo a monte: esplorare, conoscere, interpretare i segni di presenza per collocare nei punti migliori i dispositivi che restituiscono le immagini e quindi le informazioni”, ci spiega Ecotti mentre ci conduce a una videotrappola. Siamo tornati all’interno dei 6.000 ettari della riserva dei Gherardi per fare un’uscita di monitoraggio e di osservazione, attività che l’associazione svolge sul lupo in quest’area dal 2017.

Si sta avvicinando l’ora del tramonto, quando gli animali riprendono le loro attività quasi indisturbati. “Il branco che sta qui è quello che sta meglio di tutta l’alta Val Taro. Non a caso parte del suo territorio è all’interno di un’area protetta”. Un branco si può considerare sano con la presenza in media di 5 o 6 individui e in questo momento il branco ne conta circa 11, per la presenza di sei cuccioli.

Questa stagione, l’autunno, è il tempo dei lupi, quando i cuccioli crescono e iniziano a muoversi con i genitori prima dell’inverno. Sul nostro cammino ci appostiamo in silenzio, dietro agli alberi, osservando le radure e i crinali in cerca di qualche movimento. Scorgiamo alcuni caprioli e daini, anticipati dal loro bramito: è il periodo dell’accoppiamento. Vicino al sentiero troviamo i resti di un palancone, un maschio adulto di daino che è stato consumato dai lupi, e le sue corna rimangono un banchetto per il resto del bosco. Arriviamo alla fototrappola e la analizziamo facendo scorrere le immagini: una volpe, un daino. E poi, eccolo, un lupo. “Ha qualcosa in bocca, e ha la pancia piena”.

Le immagini di un lupo registrate dalla videotrappola © Camilla Soldati/LifeGate

L’attività di monitoraggio è una parte essenziale per gli sforzi di conservazione della specie. Purtroppo, però, ci sono grandi mancanze a livello di raccolta dei dati a livello nazionale. “Ogni regione dovrebbe fare monitoraggio sul lupo, me non succede. Non c’è un piano di gestione nonostante siamo il paese europeo con il più alto numero di lupi”, spiega Ecotti. Per questo abbiamo pochi dati e informazioni sulle loro consistenze numeriche e il dato è che non abbiamo dati sulla loro mortalità” – che contribuirebbero alla conoscenza, che è la base della coesistenza.

In questi luoghi i lupi li abbiamo sempre percepiti vicini, ma non li abbiamo visti. “Il lupo è un animale che è sempre un passo avanti a te, ed è bello anche solo sapere che ci sia”, ci ricordano Romito ed Ecotti. Non abbiamo dubbi su questo e abbracciamo quello che i lupi invitano a fare: metterci all’ascolto. Non solo della loro natura, delle loro istanze, ma di quelle di tutti.

La coesistenza è la possibilità di scegliere come immaginare il futuro

Francesco Romito, vice-presidente dell’associazione

In questi giorni abbiamo osservato realtà che con estremo impegno ci mostrano che, sì, la coesistenza è possibile, ma è un processo che richiede tempo, fatica e la consapevole partecipazione di tutte e tutti. Che la coesistenza è anche coraggio, di intervenire se ci sono situazioni particolari andando a rimuovere degli animali. Che è compromesso, ma anche un modo fantastico di permettere a tutti di esistere, apprezzando il ruolo dell’altro all’interno dell’ambiente. Perché come abbiamo imparato grazie all’associazione in questi giorni, “una montagna con un lupo è una montagna più alta”.

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