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Un reportage del New York Times ha raccontato il lavoro di un team di ricercatori impegnati a studiare l’allarmante scioglimento dei ghiacci della Groenlandia.
A dispetto dei ghiacci che ricoprono l’isola il nome Groenlandia, dallo scandinavo “Grønland”, significa Terra Verde. Proprio di questo colore potrebbe tornare se lo scioglimento dei ghiacci continuasse ai livelli attuali.
In Groenlandia gli effetti dei cambiamenti climatici sono più evidenti che altrove, l’isola è dunque una meta privilegiata per scienziati e climatologi che cercano di capire i mutamenti del clima e gli effetti che potrebbero avere.
Proprio su uno di questi studi è basato un reportage realizzato dal quotidiano statunitense New York Times. Un gruppo di ricercatori ha raccolto informazioni per comprendere la velocità con cui si sta sciogliendo la calotta di ghiaccio che ricopre la Groenlandia, il caso di disgelo più rapido della storia recente.
Il ghiaccio fuso si sta riversando nel mare, facendo crescere il livello delle acque che in un secolo potrebbe aumentare anche di 1,5 metri. “A noi scienziati piace molto stare seduti al nostro computer e utilizzare modelli climatici per effettuare previsioni – ha dichiarato Laurence C. Smith, capo del dipartimento di Geografia dell’Università della California e leader del team di ricerca in Groenlandia. – Ma per capire veramente cosa sta succedendo sono necessarie misurazioni empiriche sul campo”.
La ricerca potrebbe fornire informazioni preziose per aiutare gli scienziati a capire le evoluzioni del livello del mare nel Ventunesimo secolo e di conseguenza la gestione delle aree costiere. Il governo statunitense investe ogni anno circa un miliardo di dollari per sostenere la ricerca nell’Artico.
Non tutti però, ricorda il New York Times, sostengono questo tipo di ricerca, alcuni leader repubblicani hanno più volte messo in dubbio l’esistenza del riscaldamento globale e il ruolo delle attività umane nei cambiamenti climatici.
La squadra di ricercatori guidata dal dottor Smith ha svolto le proprie indagini nei pressi di Kangerlussuaq, piccolo villaggio di 512 anime sulla costa sud-occidentale dell’isola. “Protagonista” dello studio è un fiume gelido e impetuoso, uno dei tanti formatisi con l’aumento delle temperature che genera grandi laghi sulla superficie del ghiaccio, che a loro volta creano una rete di fiumi.
“Nessuno ha mai raccolto una varietà simile di dati”, ha affermato Asa Rennermalm, professore di geografia del Rutgers University Climate Institute. Effettuare le misurazioni, si legge nel reportage, è stato così difficile e pericoloso che sono stati necessari due scienziati alla volta.
Dopo aver raggiunto in elicottero il punto prestabilito per le analisi i ricercatori hanno iniziato ad esaminare la calotta di ghiaccio e l’acqua del fiume. Tra loro c’era Brandon Overstreet, candidato al dottorato in idrologia presso l’Università del Wyoming, l’uomo sulle cui spalle, più di ogni altro membro del team, poggiava il successo della missione. Overstreet, cresciuto tra kayak e rafting in Oregon, ha sviluppato un complesso sistema di corda e puleggia, fondamentale per raccogliere dati dalle pericolose acque ghiacciate del fiume.
Altri membri della squadra, Pitcher e Cooper dell’Università della California, hanno perforato il ghiaccio e, tramite computer impermeabili, GPS e sonar di profondità, hanno ricavato utili informazioni sul fiume come profondità dell’acqua, velocità e temperatura.
La missione, ha dichiarato il dottor Smith al New York Times, potrebbe fornire informazioni essenziali, ad esempio si potrebbe scoprire che l’acqua che si forma dallo scioglimento delle nevi potrebbe congelarsi nuovamente all’interno della calotta di ghiaccio e che il livello del mare aumenta più lentamente di quanto non si creda.
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