Le memorie di Adriano

Cercando di far accettare una pacifica convivenza tra arabi ed ebrei, rimase sconcertato di fronte all’arroganza di chi si crede di essere il popolo eletto, il solo a contenere la vera fede, l’intera verità.

La vita militare fu la sua vocazione. Pur essendo uomo di pace
accettò le guerre anche quando non ne condivideva la
motivazioni, le accettava “come un mezzo per giungere alla pace, se
i negoziati non potevano bastare.” Altre cose urgevano: i viaggi,
la cultura, le scoperte di nuove esperienze… Fu iniziato al culto
orientale di Mitra, ai misteri di Elena; amava in modo appassionato
la bellezza, in tutte le sue manifestazioni, la natura, sia le
vaste ed estese pianure del nord, dove lo portarono le lunghe
campagne militari, sia le foreste lussureggianti della Bitinia.
L’amore umano per il giovane Antinoo fu forte e sincero,
illuminò per alcuni anni la sua vita e gli diede
quell’impulso vitale che solo un amore forte può dare.
Altrettanto forte fu il dolore per la sua fine precoce, che lo
accompagnò per il resto dei suoi giorni: “non avevo amato
abbastanza quel fanciullo da obbligarlo a vivere.”

Adriano si sentiva responsabile delle bellezze del mondo, il suo
ideale era poter costruire splendide città piene di luce,
campi fiorenti irrigati da acque limpide, popolate da esseri umani
liberi, desiderava che il viaggiatore più umile potesse
liberamente errare da un paese all’altro… Si potrebbe crederlo un
illuso, vittima dell’utopia, se a questo conoscitore della vita non
fosse stato ben chiaro che a è eterno, che alla pace
subentra la guerra, alla tolleranza l’odio e la violenza, che gli
uomini, purtroppo, preferiscono usare le loro energie in “opere
stupide o feroci”. Ma Adriano non poteva rinunciare alla
speranza… “Non tutti i nostri libri periranno, si restaureranno
le nostre statue infrante; altre cupole, altri frontoni sorgeranno
dai nostri frontoni, dalle nostre cupole… Se i barbari
s’impadroniranno mai dell’impero del mondo, saranno costretti ad
adottare molti dei nostri metodi; e finiranno per
rassomigliarci.”
Penso al legame con il mondo d’oggi, un mondo che sembra sfaldarsi
sotto i colpi di guerre che colpiscono vite innocenti… In questo
mondo dove fondamentalismi e intolleranza seminano distruzione e
morte si fa sempre più forte il bisogno di quella stessa
pace voluta da Adriano. Cercando di far accettare una pacifica
convivenza tra arabi ed ebrei, rimase sconcertato di fronte
all’arroganza di chi si crede di essere il popolo eletto, il solo a
contenere la vera fede, l’intera verità. Durante la guerra
ebraica Adriano ebbe lunghi colloqui con il rabbino Giosuè,
ma non amò mai la “lingua dei fanatici, tanto invasati del
loro dio da trascurare l’umano.” Adriano ebbe infatti molto
più forte il senso dell’umano che del divino:
“Avevo lottato per secondare il senso del divino senza tuttavia
sacrificare a esso l’umano”
“Non manca un barlume di luce neppure nel più opaco degli
uomini”

Gli anni passano, sopravvengono le malattie, mancano le forze, il
pensiero della morte si fa sempre più insistente e con esso
la tentazione del suicidio, ma si impone la “patientia”. Lo
circondano gli amici più cari, lo conforta il pensiero che
fino all’ultimo istante sia stato amato di “amore umano”.
Pensa, infine, alla sua “animula”, “piccola anima smarrita e soave,
compagna e ospite del corpo, ora t’appresti a scendere in luoghi
incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi
consueti. Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari,
le cose che certamente non vedremo mai più… Cerchiamo di
entrare nella morte a occhi aperti…”

Laura Vascellari

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